LA LUCE DEI PUNTI LONTANI
di MARIO CALIVA’ ,
MOHICANI EDIZIONI
I punti lontani sono ricordi? Mario Calivà, nella nota introduttiva alla sua silloge, afferma che essi sono i sogni, le aspirazioni dell’io che agisce e si muove nel presente per la loro realizzazione, ma i progetti spesso s’infrangono nella realtà e ci lasciano nell’anima ferite profonde.
Le cicatrici che rimangono, tuttavia, non creano abbandono, stasi, bensì, vestiti di una dimensione temporale nuova, quella del passato, continuano ad esercitare una funzione propulsiva nel presente, nell’oggi. Ormai i sogni non sono più metaforiche stelle, non sono più corpi celesti nel cielo cosmico, dimora spirituale del Poeta e a cui, non a caso, anche la copertina della silloge allude, ma lucido ricordo ”come scarpe lustrate a nuovo \ che prima apparivano vecchie. Rotte.Stanche.\ Tolte di mezzo”. ( Certo era che…, pag. 7).
La vita ha preso altre direzioni e quelle scarpe Mario non può più indossarle, ma non può non ammirarle e dire che erano-sono ”bellissime “. Quindi mantengono sempre il loro fascino e guidano, anche se altrove, il suo presente, dimensione in cui ,talvolta, “Uomini scialbi \…\ sperano \ nel fallimento altrui \ loro unico appagamento” (Fluttuano le voci, pag.44), ma egli riesce sempre ad afferrare ”una stella \ quando passa leggera” e a scrivere “qualcosa nel cielo \ … (idem), a riproporne ,insomma, la luminosità . La silloge trova nella dimensione temporale, nella sua spartizione cronologica di passato, presente e futuro, il nucleo tematico- ideologico da cui si diparte a raggiera nello spazio, la meditazione lirica del Poeta, che, consapevole della fragilità umana, dell’essere nient’altro che “un’ombra “ che si proietta sulla sua terra, tuttavia sente il profondo legame che lo unisce ad essa: egli è “un tutt’uno ” con le sue origini identitarie, con quel monte Kumeta , sul quale “ turnista del sogno” vede una scia di luce….di stelle splendenti “( m. kumeta,pag.6); non importa se poi il loro scintillio si attenua ed apparentemente si spegne, perché “tutti” i suoi “fiori hanno un odore \ anche se son morti” poiché “sostengono ricordi “ che “sono caparbi a lasciar tracce \ e stanno contigui alle foto”. ( I miei fiori, pag.29) Con uno stile metaforico- metonimico, che tende in genere a sostituire il concreto con l’astratto o viceversa, il Poeta ricostruisce un percosso vitale che è contemporaneamente esistenziale e sociale, poiché l’io si espande nel contesto umano e naturale, ma non qual’ esso è nell’hic et nunc, ma come per Bergson in una durata continua che ha la forma di un continuo progresso del passato che penetra nel futuro.
Francesca Luzzio