GIORNO DOPO GIORNO
Raccolta poetica di Salvatore Quasimodo
Scheda di Gabriella Maggio
marzo 2018
Quest’anno ricorre il cinquantesimo della morte di Salvatore Quasimodo, avvenuta a Napoli il 14 giugno del ’68.
Nella produzione poetica dell’autore, nato a Modica, la Seconda Guerra Mondiale segna uno spartiacque tra l’esperienza ermetica e le poesie di Giorno dopo giorno.
Infatti lo stesso poeta ha detto in Poesie e discorsi che “la guerra muta la vita morale di un popolo, e l’uomo al suo ritorno, non trova più misure di certezza in un modus divita interno”. Nella nuova raccolta Quasimodo assume i toni dell’impegno civile e manifesta l’ambizione di essere il cantore del dolore umano. La prima pubblicazione è del ’46 col titolo Con il piede straniero sopra il cuore in Quaderni di Costume, a cura di Giancarlo Vigorelli; la seconda del ’47 presso Mondadori col titolo Giorno dopo giorno e l’aggiunta di due nuove poesie, Il traghetto e Il tuo piede silenzioso.
Il titolo rivela una propensione diaristica, che àncora la parola poetica al tempo presente e a referenti concreti. A questo proposito le due liriche con titolo-data, 19 gennaio 1944 e Milano, agosto 1943 legano il poetare di Quasimodo a un’attualità drammatica, immediatamente intellegibile; ma il riferimento si esaurisce nel titolo e l’intemporalità ermetica è solo apparentemente superata. Le venti liriche trattano il tema della guerra dal ’43 al ’45, ma non sono disposte in ordine cronologico di composizione. L’intento di Quasimodo è infatti quello di comporre un coerente itinerario poetico ed esistenziale che abbia un significato narrativo e simbolico esemplare: un’esperienza di vita e letteratura durante la guerra, espressa in endecasillabi, secondo la tradizione poetica italiana alta.
Come ha detto Giacomo Debenedetti in “Poesia italiana del ‘900” i mutamenti di gusto e di poetica avvengono in modo sfumato con andate e ritorni e la nuova raccolta conserva legami con quelle precedenti. Quasimodo diversifica lo sguardo della sua poesia arricchendo la vicenda tutta interna, interiore, dell’esperienza ermetica, con la storia esterna, oggettiva. Anche Carlo Bo nell’Introduzione all’edizione di Giorno dopo giorno del ’47 notava che “soltanto in apparenza questo ultimo Quasimodo sembra distratto su zone nuove e opposte al senso della sua storia interiore “. A mutare era stato, quindi, il tono della voce, la prosodia come ha detto Gianfranco Contini, con l’acquisto di una profezia oracolare e di accenti universali e commossi.
Tuttavia una svolta c’è stata, ideologica e umana. “La guerra, la morte, il dolore storico, l’orrore riescono a trovare una voce inconfondibile, conferma Bàrberi Squarotti (Quasimodo tra mito e realtà), in una dizione che dalla chiarezza e dalla precisa scansione classicistica deriva il suo tono grave, di ammonizione, di meditazione, di mito nel senso di esemplare narrazione dello stato del mondo”. Questo aspetto è stato sottolineato anche dalla relazione dell’Accademia Svedese, in occasione del conferimento del Nobel nel ‘59, che così concludeva la motivazione : ” Per la sua poesia lirica che con fuoco classico esprime l’esperienza tragica nella vita dei nostri tempi” con evidente allusione anche alle traduzioni dalle lingue classiche e alla nuova poesia inaugurata da Giorno dopo giorno, seguita poi da La vita non è sogno, Il falso e vero verde, La terra impareggiabile, Dare e avere. Ma alla “svolta” hanno contribuito anche l’avvicinamento al P.C.I. , le traduzioni da Neruda e quella da Garcia Lorca fatta dall’amico Carlo Bo. Giorno dopo giorno si presenta, quindi, come un bilancio letterario e soprattutto poetico sul già scritto e sui i suoi sviluppi futuri: la vena creativa del poeta intreccia i nuovi temi del dolore e della guerra con gli stati d’animo assorti o contemplativi o di introspezione propri dell’esperienza ermetica, di cui conserva il rigore della lingua e dello stile, pur se diventano più aperti e colloquiali nel passaggio dal monologo lirico al dialogo drammatico.
Il pensiero procede spesso attraverso domande retoriche e il reale viene evocato per mezzo di un filtro espressionistico, che tende ad intellettualizzarlo e a renderlo meno realistico, o a fissarlo in una dimensione emblematica, sacrale o classicheggiante. La dichiarazione di poetica si trova nella poesia d’ apertura Alle fronde dei salici, già pubblicata nel ‘44 sulla rivista Uomo. Di fronte all’orrore della guerra la poesia è impotente e può solo offrire il suo silenzio polemico, che si fa carico del dolore dell’umanità. Il noi conferisce al testo un tono epico-corale indizio di un nuovo sentimento di comunione e fratellanza con gli uomini. L’uso dell’endecasillabo sciolto in variante solenne a maiore dà al testo una forte espressività e un andamento cantabile e malinconico. In questo modo la forma poetica ricostituisce l’armonia spezzata dalla storia, che entra nei versi solo filtrata da un’ampia formalizzazione letteraria. Le scelte stilistiche e retoriche riecheggiano la passata stagione ermetica. L’allusione al salmo 137, il canto degli esuli, al sacrificio pasquale, alla crocefissione danno solennità e autorevolezza al silenzio poetico, paragonato a quello degli Ebrei. Il valore primario individuato dal poeta è l’umanità nel suo complesso.
Più dimesso il tono con cui Quasimodo esprime la dimensione privata della guerra in 19 gennaio 1944. Lugubri e desolate riecheggiano le parole di un antico lette a un tu in questa profondissima notte di guerra. L’assenza di riferimento nel testo a un evento preciso in quella data confina la guerra in una distanza incommensurabile, ribadita dal superlativo profondissima e dalla metafora nessuno corre il cielo degli angeli di morte. La letteratura, unica dolcezza, aiuta a cercare un segno che superi la contingenza.
Chiude la raccolta Uomo del mio tempo, connotata da un tono discorsivo e dalla trasparenza dei significati. Datata 23 dicembre 1945, è probabilmente influenzata dal lancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki avvenuto pochi mesi prima: ciò spiega, fra l’altro, il motivo per cui – a differenza di altri testi della raccolta – la condanna della violenza distruttiva è indirizzata all’intera umanità e non ai soli nazifascisti.
L’impegno civile si mescola al messaggio cristiano della solidarietà e dell’amore. Mentre l’apostrofe finale ai figli, cioè alle nuove generazioni, lascia intravedere una speranza. La poesia è un accorato appello a rifare l’uomo, come Quasimodo aveva già detto nel ’46 nel saggio L’uomo e la poesia ( in Poesie e discorsi): Oggi , poi, dopo due guerre nelle quali l’”eroe” è diventato un numero sterminato di morti, l’impegno del poeta è ancora più grave, perché deve “ rifare” l’uomo, quest’uomo disperso sulla terra, del quale conosce i più oscuri pensieri, quest’uomo che giudica il male come una necessità, un bisogno al quale non ci si può sottrarre, che irride anche al pianto perché il pianto è teatrale, quest’uomo che aspetta il perdono evangelico tenendo in tasca le mani sporche di sangue. Rifare l’uomo: questo il problema capitale. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle “speculazioni” è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno. Quasimodo dimostra di credere ancora nell’uomo, non ostante le aberrazioni della guerra e della civiltà dell’atomo, nella possibilità di mutare il mondo e la società; crede alla storia fatta dall’ uomo, in un periodo in cui tanti scrittori dichiaravano di non essere in grado di determinare o controllare in alcun modo le vicende presenti. I critici, fra cui Giacinto Spagnoletti in La letteratura italiana del nostro secolo vl. II, Mondadori 1985, hanno visto in queste parole fiduciose l’aspetto retorico che talvolta grava sull’opera di Quasimodo. Mentre Pier V. Mengaldo e Fr. Fortini hanno parlato di manierismo su nobili sentimenti.
Per un certo tempo, negli anni vicini al Nobel, i vertici della poesia novecentesca sono stati identificati dalla critica nella triade Ungaretti- Montale-Quasimodo. In seguito la posizione di Quasimodo è stata sempre più ridimensionata tanto che E. Sanguineti nella sua antologia poetica del ’69 include molte traduzioni ma pochissime liriche originali. Il primato del traduttore sul poeta è stato ribadito da più parti. Questo giudizio sembra riduttivo ed immeritato.
Gabriella Maggio