Giovanna Fileccia

I MIEI RACCONTI
PSICOFANTASIOSI

di Vera Basnia Ed. Simposium

Prefazione di Giovanna Fileccia

In ogni istante della nostra vita
abbiamo un piede nella favola
e uno nell’abisso.

Paulo Coelho, Undici minuti

Le parole sono piccoli frammenti che si accostano gli uni sugli altri per raccontare storie-come-montagne-da-superare: questa è la prima impressione che si avverte nel leggere i racconti di Vera Basnia, un concentrato di fantasia frammisto a gesti quotidiani in cui gli elementi comuni sono lo sdoppiamento e la dualità dei protagonisti, che è anche la dualità, se non addirittura duplicità, dell’autrice.

Dietro la firma si cela una scrittrice dalle molteplici sfumature, ella è infatti anche un’apprezzata poetessa e scrittrice di narrativa. La particolarità della Nostra è il voler separare ogni suo genere di scrittura con uno pseudonimo diverso. Ma preferisco lasciar parlare lei: «Quando scrivo poesia sono Valentina Grazia Harè, quando scrivo romanzi divento Valentina Cucuzzella e per le favole sono Vera Basnia». E Basnia, ci tiene a precisare, in russo vuol dire favola.

A me che scrivo, piace sottolineare come la lettera ‘V’ sia una costante nella firma dell’autrice, quasi un punto fermo nell’estesa frammentarietà del suo esprimersi, un punto che le è necessario per non perdersi, un punto solido dal quale ella dipana i suoi racconti ‘psicofantasiosi’.

I miei racconti, un titolo semplice ma ben diverso dal contenuto che, viceversa, è ricercato e originale. A una prima lettura sembrerebbe che i racconti contengano quegli elementi che possano far pensare a un libro per ragazzi: molti dei protagonisti, infatti, sono giovani adolescenti oppure piccoli infanti che si muovono tra realtà e fantasia con piena consapevolezza di sé. Ed è proprio questa consapevolezza di sé che rende il libro adatto anche, e soprattutto, a un pubblico adulto. La ricerca di sé come conoscenza dell’intimo di ognuno, come anello di congiunzione tra sé e gli altri, tra sé e la famiglia, tra sé e la madre. La madre è uno dei punti focali dei racconti di Vera Basnia, nucleo d’origine dal quale scaturisce la paura, la solitudine, la mancanza d’amore dei protagonisti che cercano di risolvere con le proprie forze i disagi di cui sono affetti andando alla conquista del proprio “io”.

È intrigante entrare in ogni favola senza alcun preconcetto e poi lasciarsi trasportare, durante la lettura, dentro mondi fantastici che il medesimo protagonista crea per salvare se stesso, rivelando al lettore una verità assoluta: la forza per superare gli ostacoli è dentro ognuno di noi. I protagonisti de I miei racconti hanno in comune il desiderio di ritrovare l’identità, il coraggio e l’amore che hanno perso.

Ed è l’amore a tenere uniti i colori variopinti delle storie, a cominciare dal racconto Un dono di pietra in cui la protagonista, Vera, ama inventare favole per sentirsi meno sola. La piccola Vera non riesce a sorridere, e per risolvere il suo malessere inventa la Fata Staccata, e insieme vanno – a braccetto seguendo i passi quieti – a parlare con Re Grembo che con saggezza invita Vera ad “amare qualcosa per saperla veramente”.

L’amore cercato e poi trovato per vie traverse ci trasporta nel racconto Innamorati sottovetro: scritto in prima persona è la risposta alla domanda sottintesa: “dove va a finire l’amore?” È la stessa autrice che narra, tracciando una trama che oscilla tra il bene e il male, in cui un’arida babysitter ruba le primavere alle persone che si amano. È compito dei protagonisti trovare il modo per riappropriarsi dell’amore.

Anche i sogni possono essere veicoli d’amore ed essere utilizzati per migliorare la propria condizione: Vera Basnia ci conduce nel mondo di Gino Stambecchi, un commerciante di sogni dall’animo fanciullesco che, ogni mattina, tira fuori sogni (mai sognati) per ammaliare “lo stuolo di professori psichiatri che ogni giorno lo accerchiano senza cattiveria”. E qui entra in scena l’ironia del paziente che si burla dei medici. Gino Stambecchi, infatti, non rivela ad alcuno il reale motivo del suo “non volersi schiodare dal letto”: per lui è prioritario dormire in un letto comodo e sicuro (che sia un letto d’ospedale poco importa) e cibarsi di gustoso riso al sugo con polpettine calde e saporite. Ma ciò di cui Gino maggiormente si ciba è la creatività: inventare sogni nuovi per Gino Stambecchi diventa un’esigenza che nutre anche i medici.

Vera Basnia, proprio come Gino Stambecchi, si ciba di creatività, vive sognando mondi fantasiosi, e racconta i suoi sogni con l’inchiostro. La Nostra Valentina attribuisce alla scrittura un valore salvifico ella infatti mi ha svelato: «Scrivo per conoscermi e per rendere armonia ciò che è rumore, per fare della vita un posto più caldo. Mi piace pensare alla scrittura come a una sorgente d’amore. Tutti ne partecipiamo. La scrittura viene dalla vita, ma produce vita, è qualcosa che c’è sempre, ti aspetta, dopo i viaggi del quotidiano. La scrittura è come una casa a cui tornare, come delle braccia amorevoli».

Si evince un non so che di malinconico nell’affermazione dell’autrice, e la malinconia è la chiave di lettura del suo stile che incede sognante e romantico, a tratti pratico e incisivo, fantasioso e ironico riuscendo, sempre e comunque, a comunicare il suo pensiero al di là delle parole. Mai banale, né ordinario così come peraltro annuncia in un altro dei suoi racconti: Il regno dell’Indietro nel quale il protagonista Erik non riesce ad accettare le richieste di simpatia e gli inviti degli amici perché non appena fuori dal suo studio di scultore di zucche lo coglie “un vento di banalità” che mortifica l’artista che è in lui. Quindi bando alla banalità, e piuttosto che uscire di casa, Erik, scrive una favola per guarire dei suoi spaventi e dopo aver incontrato Re Di Un Tempo capisce che “l’unico modo per essere felici è accettare”.

I racconti di Vera Basnia sono interattivi, favoriscono spunti di riflessione, contengono verità che rappresentano quegli appigli che rendono saldi i valori in cui credere. È indubbio che le storie che Valentina propone abbiano un sottofondo personale, ella mi ha confidato quanto segue: «Fin da piccola la psicologia mi ha attratto molto, era il mondo che intravedevo in mio padre, psicoterapeuta. E la scrittura ha sempre rappresentato il modo in cui penetrare in quell’altro mondo affascinante e profondo che è l’interiorità». L’autrice svela la sua passione per la psicologia di cui sono intrisi i suoi racconti psicofantasiosi e siccome, come afferma Italo Calvino, “scrivere è sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga scoperto”, la Nostra gioca leggiadramente a rimpiattino con il lettore e lo invita a entrare in un mondo fantastico che contiene domande e risposte mai scontate, riflessioni e affermazioni intrise di saggezza.

Nella favola Anzy e i Ragazzi Ferita, Rolly, sa quanto sia esuberante il dolore, lo conosce e riesce a distinguerlo: gli dà il fantasioso volto di una signora dalla gonna ampia dalla quale fuoriescono ragazzi-come-ricordi che lo annientano fino a farlo sentire ospite di se stesso. Rolly possiede una consapevolezza tale da permettergli di discernere tra realtà e fantasia, tanto da riuscire, con l’aiuto della Regina Delle Cose Vive, a escogitare una soluzione.

Vera Basnia nell’incedere elegante dei racconti, attraverso i dialoghi frizzanti e spesso divertenti, lascia intravedere al lettore uno schema con una chiave di lettura: quasi tutte le storie si sviluppano in una favola piscofantasiosa in cui i protagonisti reali interagiscono con i personaggi fantastici che loro stessi inventano e insieme vanno verso la guarigione. Per superare le paure, dunque, i protagonisti dei racconti inventano figure amiche, fate, regine, re, che li aiutano, li sorreggono, li incoraggiano.

E nella vita reale cosa c’è di più prezioso di un amico?

«Nulla», risponde Valentina che crede fermamente nel valore dell’amicizia: anch’esso punto cardine della sua vita di giovane artista.

E “un amico d’aria e dolore” nel racconto Sintom-Tom si intrufola in Ragazzo – dopo che quest’ultimo assiste a una furibonda lite tra i genitori – instillandogli la paura di uscire di casa, unitamente alla paura di “tagliare un qualche traguardo” per cui preferisce il “far nulla”. Ma poi Ragazzo riesce a portare a termine un progetto intrapreso, e pur accettando con naturalezza ogni decisione suggeritagli dell’amico Sintom-Tom che gli vive dentro, alla fine i due arrivano a un compromesso.

I miei Racconti è un libro pieno di compromessi creativi: scelte più o meno equilibrate, ma che danno al lettore degli stimoli utili affinché si possa reagire alle difficoltà, nonché la caparbietà di volere affrontare le fobie e le paure con le quali ognuno vive.

C’è nei racconti di Vera Basnia una ricerca dei particolari che fa di ogni storia una piccola opera d’arte piena di sfumature multicolori; vi è altresì, anche una consistente parte di nero e di bianco. Ogni sfumatura di colore corrisponde a un livello emozionale: partendo dal nero -oscurità di ogni protagonista dei racconti; per poi passare alle sfumature multicolori – le favole che ogni protagonista inventa; fino ad arrivare al bianco – luce che rivela la strada da percorrere affinché la paura venga affrontata e superata.

Concludo riallacciandomi alla massima di Paulo Coelho che ho riportato all’inizio di questo mio intervento: lo stare in bilico tra la favola e l’abisso forse è il modo giusto in cui affrontare il quotidiano per cui mi piace finire, questo mio breve contributo, con un inizio: C’era una volta e c’è ancora una romantica ragazza che amava spiccare il volo per inoltrarsi in luoghi nuovi da esplorare. Ella amava sorvolare l’abisso che all’occorrenza ricolmava di immagini fantasiose e parole fatate… A noi lettori è data la scelta tra il volare per scoprire mondi nuovi o il rimanere a terra e vivere giorni conosciuti.

Vera Basnia, alias Valentina Cucuzzella, alias Valentina Grazia Harè raccomanda tra le righe de I suoi racconti di coltivare la dualità che è propria di ognuno, di accettare le nostre ombre perché solo riconoscendole potremmo portarle verso la luce.

Giovanna Fileccia