SALVATORE TOCCO
Solitudini
Racconti dell’assurdo e dell’inquietudine
Edizioni Simposium
Che colore ha per ognuno di noi la solitudine? Cambia colore a seconda del nostro stato d’animo: siamo soli per scelta oppure perché non abbiamo altra alternativa? È uno stato mentale, oppure uno stato sociale?
La solitudine richiama alla nostra mente il silenzio: immaginiamo di stare 24 ore senza parlare dimenticandoci di avere voce e orecchie. Stacchiamo il campanello della porta, il telefono, il computer e tutto ciò che ci può distrarre… cosa può accadere? Forse, per assurdo, potremmo annidarci dentro noi stessi, rintracciare parti interne che da tanto tempo non ascoltiamo, o forse elaborare un ricordo o una gioia vissuta, oppure leggeremo un libro che ci arricchirà di nuove parole, o magari scriveremo un pensiero o una canzone, o dipingeremo un quadro astratto che esprima ciò che abbiamo dentro, oppure non faremo altro che chiudere gli occhi e stare …
Salvatore Tocco ha scritto. E non si è limitato a una solitudine, ma, addirittura ha eseguito una moltiplicazione che ha generato Solitudini. Come se una sola solitudine non fosse abbastanza.
Prima ancora di leggere i racconti di Salvatore Tocco, ho focalizzato l’attenzione al titolo che l’autore ha scelto e che mi ha portato alla seguente considerazione: se sommassimo la solitudine di ognuno e ne facessimo solitudini condivise? In effetti già lo facciamo… Si parla tanto di condivisione, no?: condividimi la foto che mi hai scattato… condivido ad altri quello che tu hai scritto… condividimi la ricetta della caponata… e quanto hai speso per gli stivaletti di camoscio…: questo e altro si condivide sui social network, su wapp…. Una non-solitudine che limita le relazioni a un rapporto virtuale generando a sua volta solitudine. Eppure qualcuno potrebbe affermare che è sempre meglio avere un surrogato delle relazioni piuttosto che stare da soli, no?
Personalmente amo la solitudine: è una via di salvezza alla ingombrante confusione che spesso ci sovrasta e che ci fa dimenticare chi siamo, dove siamo, perché siamo e con chi siamo.
Ma passo al libro il cui titolo Solitudini ha il seguente sottotitolo: Racconti dell’assurdo e dell’inquietudine. Comprende 28 racconti che hanno in comune la musicalità di chi sente il ritmo delle parole; la fluidità del pensiero di chi ha le idee chiare; lo stile sobrio e ricercato di chi è avvezzo alla letteratura. Scritto quasi sempre in prima persona e quasi del tutto dal punto di vista maschile, tranne che per il racconto Una donna sola.
Nella prefazione del professore Manlio Pastore Stocchi leggiamo “(…) Sorprende a affascina la misura stessa dei racconti accolti nel libro, aliena da estesi sviluppi narrativi e invece di regola breve, talora brevissima, tutta condensata intorno a un caso, a un comportamento, a un’occasione donde emerga, più che una locale realtà di tipi e di circostanze, una verità che tutti ci riguarda, in ogni tempo e in ogni luogo. (…) ” Ho scelto questo passo della prefazione per mettere in evidenza la caratteristica che unisce tutti i racconti che, con tratto deciso, Salvatore Tocco, ha inciso. Infatti egli ha inciso non soltanto le parole, ma continua a incidere soprattutto le emozioni che, graffianti rimangono al lettore sotto forma di sensazioni… di déjà-vu… come segni incisi sulla pelle di ognuno.
Ora entrerò dentro le pagine del libro a cominciare dal racconto Frammenti del diario del dottor F. dalla cui lettura mi è stato evidente da subito come l’autore vi abbia celato i vari livelli di solitudine di assurdo e di inquietudine. Il cappotto del dottor F. da semplice indumento appeso nell’appendiabiti, passa, per assurdo, a essere considerato un “manichino impiccato”, di più, come se il dottor F. stesso fosse quel cappotto che, appeso, stava lì a incutergli il timore di una morte imminente. E i livelli di solitudine si srotolano come tessuti fluenti che rivelano, nell’aprirsi, colori vari e sorrisi finti, tutti uguali fra gente che compra ai grandi magazzini. E dai grandi magazzini, metafora del mondo odierno, fruisce l’inquietudine che, man mano, frammento dopo frammento, passa dal paziente, il sarto D. al medico, per poi estendersi anche al curatore del diario… E quando ho finito di leggere il racconto è accaduta una cosa strana: la catena che genera inquietudine, è arrivata anche a me, Giovanna Fileccia, sarta per passione che possiede tre manichini in casa di cui uno nella camera da letto che indossa un drappo rosso scuro… L’inquietudine del sarto D., del dottor F., e del curatore le avvertirete anche voi. E chissà forse anche voi vi chiederete se vi faranno diventare tutti manichini: ognuno chiuso dentro “corpi duri come cera”… tutti manichini solitari, tutti belli, tutti perfetti, tutti lucidi e tutti sorridenti. Ma, in quel tutti, si cela il nessuno…
Nessuno è veramente solo, ma ognuno è dannatamente solo… così come solo appare ogni protagonista dei racconti del professor Tocco: solo nella sua disperata e grottesca follia. I protagonisti di Solitudini vi trasporteranno in un vortice di sentimenti: dalla tristezza al rammarico; dalla non-fiducia alla rabbia; dalla nostalgia allo sdegno; dalla sofferenza alla disperazione più profonda. E poi dal pensiero contorto alla più evidente follia; da un lieve accenno di ironia al più dilagante sarcasmo.
Nel racconto Sancio, il protagonista cavalca la solitudine, l’inquietudine e l’assurdo: egli vive nella nostalgia del ricordo di Don Chisciotte e dopo “essere diventato l’oggetto di quasi tutte le beffe che gente impietosa aveva voluto fargli”, si chiude nella sua solitudine finché un giorno decide di indossare l’armatura di Don Chisciotte e ripercorre gli stessi luoghi, ma si sente ridicolo nel “voler vivere la vita di un altro” . E il ridicolo ha il pregio di rendere ironico lo scrivere dell’autore.
Infatti l’ironia, così come ho accennato poc’anzi, a volte si insinua piacevolmente dentro i racconti di Salvatore Tocco e nello specifico in Ossessione, Il puntellatore, Sulla via: è un’ironia beffarda, quasi sarcastica, che sembra volere prendere in giro i comportamenti umani. E c’è ironia nelle prime battute del racconto Sono morto nel quale il morto vede se stesso dentro una cassa. Chi di noi non ha lo spauracchio della morte? Ma non è questo il punto piuttosto l’oscenità dell’esposizione di colui che, morto, si ritrova in quel “viso brutto, quel corpo da burattino senza fili. Quello, dice, non posso essere io. Chiudete quella cassa nera.”
Il libro di Salvatore Tocco mi ha dato l’impressione di un quadro dipinto in bianco e nero che racconta sì di solitudini di assurdo e di inquietudine, ma racconta attraverso le illustrazioni di Nino Nicoletti anche l’umanità di chi sa vedere oltre (pag. 126), la precarietà di un equilibrio da conquistare (pag. 85), il confronto con le proprie ombre che a volte risultano troppo ingombranti (pag. 169), il mettere alla luce la parte celata di se stessi (pag. 50).
La copertina, dallo sfondo bianco su cui è impresso il titolo dai caratteri neri, riporta al centro un’altra opera dell ’artista Nino Nicoletti che parla da sola: vi è un uomo dai contorni morbidi, seduto su di una sedia di legno, il quale uomo mostra le spalle celando al lettore il suo viso. L’uomo di spalle richiama a una solitudine intima, che riguarda la relazione che egli ha tra sé e sé.
Mi chiedo: Perché l’autore ha scelto di presentarsi di spalle? È forse timido? O semplicemente vuole incuriosirmi? Eppure la sedia di legno fa pensare a una relazione con il prossimo: ci si siede in cucina per sorbire un caffè in compagnia, per discorrere con qualcuno, per mangiare a tavola. La sedia rappresenta l’incontro con l’altro… eppure quelle spalle negano la volontà di un incontro diretto.
Salvatore Tocco nei suoi racconti si avvale di alcune espressioni onomatopeiche: per esempio ne Davanti le mura di Gerico, troverete gli spari di un fucile gridati da un guardiano pam pam – pum pum; ne Sulla via, troverete il rumore di uno sputo scipuntz; invece in Tolomeica, troverete i suoni che produce un cavallo cloppete cloppete, e il sibilare di una frusta swaik swiw, swing; ne Il giullaree il cavaliere troverete il trottare di un cavallo trot trot trot taratrot tiritrot tataratiritrot.
Ringrazio l’autore, Salvatore Tocco, perché, ho trovato la lettura di Solitudini piacevole e stimolante: per chi come me ama scrivere, scavare e approfondire. I temi racchiusi dentro le pagine del suo libro hanno alimentato un fermento che mi ha portato a molte riflessioni, domande e considerazioni.
E a proposito di domande riprendo il quesito che ho posto all’inizio: Che colore ha per ognuno di noi la solitudine? Per me è blu cobalto, ma anche giallo fosforescente, verde prato… E per voi? E per il nostro autore?
Giovanna Fileccia 31 marzo 2017