Totò Agosta
di Irene Bonanno
a cura di Giovanna Sciacchitano
“Faccia egli quel che vuole e quel che può, sacrifichi anche la propria vita, non riuscirà mai a nulla : quannu la sorti nun dici, ammàtula t’ammazzi… e la vita sarà una traversia continua, un martirio perenne…”
Così scrive Giuseppe Pitrè studioso di tradizioni popolari in “Usi e costumi : credenze e pregiudizi del popolo siciliano”.
Questo aspetto della cultura arcaica tradizionale siciliana viene colto ed espresso magistralmente da Irene Bonanno, scrittrice e poetessa, nel suo “Totò Agosta”, racconti tragi-comici in versi di una vita veru disgrazziata, edito da Sigma Edizioni. Si tratta di un poemetto composto da quindici episodi scritti rigorosamente in versi siciliani, la gran parte endecasillabi che danno musicalità alla composizione rendendola adatta anche ad un’esibizione vocale per quadri di immagini pertinenti alle vicende narrate, così come vuole la tradizione dei cantastorie. Infatti per ogni episodio raccontato troviamo una vignetta della brava pittrice Susanna Mutari che ne illustra e ne sintetizza il contenuto.
“Totò Agosta” non è solo una raccolta di storie che attraverso il comico e a volte il grottesco suscitano il sorriso nel lettore, il poemetto della Bonanno è molto di più, è un rintracciare ritmi e riti di una civiltà contadina che non c’è più, ma che ancora riecheggia nel rapporto viscerale che la gran parte dei siciliani ha con la propria terra.
L’attenta ricerca sulle tradizioni popolari di Irene Bonanno fa capo alla “demopsicologia”, cioè allo studio della psicologia di un popolo. Nello specifico, a campione, l’autrice narra le avverse vicende di Totò Agosta che però rappresenta, al contempo, tutti i contadini poveri e sfortunati del mondo rurale di un tempo che non hanno avuto la possibilità di riscatto nella loro vita.
Il poemetto risulta pertanto particolarmente interessante anche dal punto di vista socio-antropologico perché contempla, come scrive nella prefazione al libro Pino Giacopelli, <tempi, riti, luoghi, costumi, atteggiamenti e tradizioni di una Sicilia della memoria>, ma tutto questo filtrato dalla personalità di Totò Agosta, dalla sua sensibilità e dalla sofferenza della sua vita. Nello scritto della Bonanno, infatti, la mitica saggezza popolare non basta a dare a Totò una vita serena e soddisfatta.
Lo sguardo dell’autrice che direi di matrice assolutamente verghiana rende ragione di un pessimismo sociale volto alla ricerca e alla rappresentazione della realtà di vita di un certo ceto sociale. In tutto questo Irene Bonanno, pur mantenendo il punto di vista del narratore “onnisciente”, cioè esterno alla storia, riesce comunque a far sentire la sua presenza emozionale, perché ricorre a quello che è “il guardare da vicino”. L’autrice infatti entra dentro la storia con grande abilità, “come se facesse parte dell’ambiente in cui vivono i personaggi, cercando di riprodurne la mentalità, con le sue storture, le superstizioni e i pregiudizi”. Si mette accanto a Totò Agosta, il povero protagonista perseguitato dalla mala sorte, ne segue le vicende e regala al lettore (anche se con il sorriso) le sue amare riflessioni su una vita che non si affrancherà mai dalla povertà e dallo sconforto.
Brava Irene Bonanno che di questo volumetto ha fatto un prezioso contenitore di sociologia, antropologia e psicologia. In esso troviamo infatti profonde ed autentiche dinamiche sociali che coinvolgono il protagonista anche dal punto di vista psicologico. Totò Agosta non può, dunque, che ritenersi perseguitato dalla sfortuna perché non può accettare di sentirsi inadeguato in una società che per i profondi mutamenti economici e sociali dell’epoca ( gli episodi sono collocati negli anni 50 del secolo scorso ) dà spazio solo a chi si evolve con essa e Totò Agosta rimane invece legato, un tutt’uno con la sua anima a “lu zappuni” avuto in dote alla nascita : Viddanu nascì e viddanu morsi, scrive la Bonanno.
Un altro aspetto molto importante dell’opera è l’uso di un codice linguistico che ci porta ad una Sicilia antica che si identifica nel dialetto della zona di Castelvetrano, con le sue particolarità “fonetiche, morfologiche, sintattiche e lessicali” e che dà ragione, come ha scritto il linguista Giovanni Ruffino in “Profili linguistici delle regioni “ della grande variabilità del dialetto nello spazio geografico…variabilità che è determinata da cause storiche, geografiche,economiche e sociali.
Pertanto è con questo dialetto che Irene Bonanno accompagna il lettore in deliziosi flashback su usi e costumi della Sicilia di un tempo, come il cerimoniale del fidanzamento o quello del matrimonio, da “Totò si marita” :
Avìanu priparatu quattru adduzzi
chi’ nta la casa avìanu nutricatu,
un porcu, du papari e du nuzzi,
pasta cu raù e caciu saliatu,
cipuddi, passuluna e ‘nna ‘nzalata,
nivuri milinciani cotti a quagghia,
pummaroru sicchi e capunata
alivi virdi cunsati cu l’agghia.
Po’ muscardini, taralli e tetù,
calia, simenza e mènnuli atturrati
chi li’mmitati un nni vosiru chiù
tantu li cosi eranu abbunnati…
La ricchezza del lessico, la forza della parola dialettale e la musicalità dei versi unite alla grande capacità creativa della Bonanno determinano uno stile denso e incalzante, ma allo stesso tempo pieno di leggerezza, qualità fondamentale per uno scrittore, come ricorda Italo Calvino nelle sue “Lezioni Americane”.
Un meritato plauso va a Irene Bonanno che ha saputo con la sua opera dare un notevole contributo alla salvaguardia del dialetto, delle tradizioni popolari e di tutto il bagaglio culturale in essi contenuto.
Giovanna Sciacchitano