Il Sessantotto Cinquant’anni dopo ==di Gabriella Maggio
di GABRIELLA MAGGIO
Quest’anno ricorre il cinquantesimo del Sessantotto, primo movimento globale contemporaneo, la cui eredità culturale ancora oggi influenza la nostra cultura e i nostri comportamenti.
Le opinioni degli studiosi e dei protagonisti, ormai attempati, oggi si dividono tra nostalgia e demolizione, mentre procede lentamente il tentativo di storicizzare un movimento che nei vari luoghi in cui si è diffuso non è stato unitario, ma ha trovato un unico denominatore comune nella parte destruens : contro l’autorità, le istituzioni, la famiglia, in nome dell’individualismo, della libertà personale e della realizzazione dei propri desideri. Punto di riferimento del movimento è stato il filosofo Herbert Marcuse, autore di testi allora di culto: Eros e civiltà nel ’55 e L’uomo a una dimensione nel ’64. Già settantenne allora, Marcuse attraeva i giovani con la rappresentazione catastrofica del capitalismo autoritario e repressivo, con la teoria dei nuovi bisogni e l’invito a liberare la nuova sensibilità. Nel ’68 si sentiva con urgenza il bisogno di rinnovamento culturale e sociale, di lottare contro il razzismo, il colonialismo, i tabù sociali per affermare la richiesta della liberalizzazione degli studi e dell’eguaglianza dei diritti umani. Il disagio veniva alimentato dalla crisi ideologica che investiva i grandi Stati guida del tempo, l’URSS, che mostrava a Praga il volto repressivo del socialismo reale, e gli USA impegnati e fiaccati nella guerra del Vietnam.
Ma al Sessantotto è mancata la parte costruttiva, un progetto politico compiuto in grado di modificare realmente la società, come in fondo tutti desideravano. La lotta contro l’autorità ha trascurato la considerazione che il potere non è eliminabile, come diceva Hannah Arendt; né i protagonisti hanno avuto consapevolezza delle contraddizioni e dell’ambiguità ideologica che si nascondeva nella protesta, denunciate allora da P. Paolo Pasolini. questa intrinseca debolezza del movimentismo e la delusione per il fallimento della possibilità di modificare la struttura di fondo della società occidentale hanno generato in breve il riflusso nel sociale e nel privato, o in un irreale iperpoliticismo sfociato nella lotta armata. L’attuale rifiuto della politica e il conformismo individualista sono considerati dagli studiosi un’eredità del ’68. L’individuo desiderante di allora è diventato un narciso, privo del passato che ha rifiutato e senza un futuro che non ha saputo costruire. Il consumismo della società globalizzata ha poi blandito e alimentato di continuo narcisismo e disagio. La comprensione del movimento nella sua complessità oggi non può prescindere dal suo inserimento in un contesto di riferimento più ampio: il periodo del dopoguerra.
Gabriella Maggio