ll Jazz – 1 La Musica del Novecento a cura di Rosario Sanguedolce
La sua notoria passione per il Jazz, è accresciuta e completata dagli splendidi scatti fonografici sull’intero mondo jazzistico.
Gli articoli che seguiranno, a distanza di 15 giorni circa l’uno dall’altro, non hanno la pretesa di essere esaustive sull’argomento; vogliono, invece, essere un incitamento a scoprire questo mondo fantastico ed emozionante.
Per non distogliere il lettore dall’argomento abbiamo deciso di inserire nello stesso articolo il testo, le foto e le tracce audio che il prof. Sanguedolce ci suggerisce.
Antonio Licata
IL JAZZ, LA MUSICA DEL NOVECENTO
Quando proposi a Antonio Licata di inserire fra le iniziative di UNICULT un articolo sul Jazz, Antonio accettò di buon grado, anzi mi chiese se era possibile sviluppare l’argomento in diverse puntate del blog.
Accettai immediatamente, mosso da un piccolo senso di megalomania ma anche di presunzione. Successivamente e dopo attente riflessioni subentrarono dubbi, incertezze e quasi stavo rinunciando alla proposta.
Tuttavia ero anche cosciente che avevo maturato una lunga esperienza nell’ambito di questo genere musicale. Nella mia biblioteca due scaffali sono pieni di libri sul Jazz, posseggo circa 500 tra dischi in vinile e CD e poi un archivio fotografico di circa 3.000 scatti, effettuati durante concerti Jazz.
Il mio primo incontro con il Jazz avvenne nell’estate del 1970 quando a Palermo fu organizzato il “Palermo pop festival ‘70” con la presenza di cantanti italiani e stranieri molto famosi e soprattutto della grande Orchestra diretta da Duke Ellington in persona.
Gli artisti si esibivano nello stadio delle Palme e per me e i miei amici presenti la sera dell’esibizione dell’Orchestra di Duke Ellington fu una esperienza travolgente.
Nessuno di noi aveva avuto contatti o rapporti con il mondo del Jazz e quella sera era scattato in noi qualche cosa di molto importante.
Tra il pubblico c’era pure un omarino, suonatore di pianoforte e maestro dello stesso strumento al Conservatorio Vincenzo Bellini, che si chiama Ignazio Garsia; anche nella mente di questo omarino scattò qualcosa che lo avrebbe portato alla organizzazione di una Associazione che si chiamò e si chiama tutt’oggi “The Brass Group” facendo di Palermo una capitale europea del Jazz.
L’avventura del Brass Group ebbe inizio il 22 Febbraio del 1974 con il concerto di Irio de Paula e da quel giorno questa avventura non ha avuto un momento di sosta.
Nel dicembre del 1975 Ignazio Garsia invitò Ornette Coleman, un grande suonatore di sassofono nero americano, con il suo sestetto.
Dopo la mia esperienza con l’orchestra di Duke Ellington 5 anni prima, non avevo più avuto occasioni di assistere a concerti Jazz; mi convinsi ad andare ad assistere quel concerto e da quel momento la passione per il Jazz non ha avuto soste di alcun genere.
Tornai ad assistere lo stesso concerto il giorno dopo e venne con me anche mia moglie che aspettava un bambino e fino a quando non partorì non abbiamo perduto un solo concerto.
Anche mio figlio Francesco, nato nel luglio del 1976, ha una grande passione per il Jazz forse maturata durante il periodo della sua gestazione.
Comunque l’avventura di Ignazio Garsia e del “The Brass Group” merita molto più spazio ed è il caso di tornarci successivamente.
A questo mi spinge anche Antonio Licata, indirettamente legato per affetto a questa istituzione musicale perché suo padre era un attento collaboratore del maestro Garsia e del Brass Group.
IL JAZZ, LA MUSICA DEL NOVECENTO
DALLE ORIGINI AL RAGTIME
A cura di
ROSARIO SANGUEDOLCE
Nell’Agosto del 1977 l’Ente Spaziale Americano, la NASA, lanciò nello spazio una sonda spaziale chiamata Voyager il cui scopo era quello di esplorare il sistema solare e oltre per non tornare mai più sulla terra. Ormai è in viaggio da 42 anni e nessuno sa dove essa sia; si sa che si autodistruggerà intorno al 2025 per esaurimento della energia indispensabile al suo funzionamento. Nel suo interno reca una registrazione di suoni e parole in 60 lingue diverse che narrano la storia del genere umano sperando che qualche popolo nello spazio interstellare possa venirne in possesso e conoscere che esiste il pianeta Terra e il genere umano.
Tra i suoni in essa registrati c’è anche un brano che è stato scelto dal governo americano per simboleggiare la musica americana del novecento: è un blues, il precursore del Jazz, cantato da un nero americano che si chiamò Blind Willie Johnson e il titolo è “Dark was the night cold was the ground” le cui prime due strofe recitano in italiano:
Blind Willie Johnson – Dark Was The Night, Cold Was The Ground”
“Buia era la notte e gelida la terra
nella quale il Nostro Signore fu deposto,
il suo sudore scorreva come gocce di sangue
e in agonia pregava
“Padre rimuovi questa tazza amara
se tale è la tua sacra volontà,
altrimenti sarò contento di berne il contenuto
così sia fatta la tua volontà”.
Consiglio ai cortesi lettori di andare ad ascoltare su you tube questo brano: è sconvolgente. La registrazione è stata fatta nel 1927.
Triste la vita di questo cantante blues; si sa che è nato intorno al 1900 in un paese del Texas, rimase orfano sin da piccolo della madre e il padre si risposò con una altra donna. Un giorno il piccolo Willie scoprì che la matrigna aveva una relazione extra coniugale e riferì la tresca al padre legittimo il quale cacciò fuori casa la moglie fedifraga che per vendicarsi gettò dell’acido muriatico nel volto del piccolo Wille accecandolo per tutta la vita. Willie aveva una voce molto roca ma potente e piena di patos e cominciò a guadagnarsi da vivere cantando accompagnato dalla chitarra agli angoli delle strade e davanti la Chiesa del suo paese. Morì a 40 anni circa per una polmonite non curata bene in un ospedale per soli cittadini americani bianchi.
L’avere inserito nella registrazione che era all’interno del Voyager questo brano è il più alto tributo che il governo americano abbia dato alla musica Jazz e ai suoi autori dopo secoli di schiavitù, segregazione razziale e persecuzioni razziali.
Come si può definire il Jazz? Che cosa è il Jazz?
Molti storici e critici musicali hanno cercato di fornire una definizione universale ma i risultati sono stati alquanto insufficienti: un solo dato accumuna questi tentativi di definire il Jazz quello nel quale concordano tutti e cioè che il Jazz è il prodotto originale di una minoranza etnica che ha vissuto e continua a vivere negli USA, la minoranza degli afro-americani o dei neri d’America e da questa musica deriva tutta la musica leggera del novecento sino ai nostri giorni in tutti i paesi dell’occidente.
Il rock ‘n roll in tutte le sue varie manifestazioni, il rythm and blues derivano dal boogie woogie che furoreggiò negli anni trenta ad opera di pianisti eccezionali come Albert Hammons, Pete Johnson e Meade Lux Lewis, autore del più famoso boogie woogie intitolato “ Honky tonky train blues”, suonato in tutto il mondo.
Anche in Italia questa musica fu conosciuta al tempo del fascismo ma trattandosi di genere musicale suonato e/o cantato da depravati “negroidi” della potenza demoplutocratica per eccellenza, gli USA, il duce acconsentì che si suonasse il Saint Louis Blues intitolandolo però con una traduzione alquanto pedestre “Le tristezze di San Luigi” !!!
La musica Jazz ha percorso in meno di cento anni un processo evolutivo che la musica classica ha fatto in diversi secoli a partire dai canti gregoriani.
Blind Willie Johnson – Latter Rain Done Fell On Me
Duke Ellington, “Take the A Train”
DISCOGRAFIA CONSIGLIATA:
BLIND WILLIE JOHNSON
“The complete Blind Willie Johnson” Columbia
DUKE ELLINGTON
Qualsiasi antologia degli anni ’30 oppure ‘40
Il jazz – 2 La musica del novecento di Rosario Sanguedolce
IL JAZZ LA MUSICA DEL NOVECENTO
Le origini: i canti del periodo della schiavitù
Raramente è accaduto nella storia dell’umanità che le vicende di un popolo coincidessero con la musica prodotta dallo stesso popolo e ne seguisse la storia nell’arco dei secoli.
Questo è quanto è accaduto ai neri d’America per diversi secoli a partire dal 1619 quando la prima nave negriera è approdata in America scaricando il primo carico di schiavi neri presi e catturati nelle coste
dell’Africa Occidentale in paesi che oggi si chiamano Senegal, Guinea etc. Da allora ha inizio la storia di questo popolo che si è sviluppata all’insegna della crudeltà più feroce che uomo abbia potuto provocare ad altro uomo. I motivi che spinsero i coloni americani ad attivare la schiavitù furono motivi economici.
I proprietari terrieri possedevano sterminate estensioni di buon terreno agricolo soprattutto negli Stati del Sud degli USA tipo Louisiana, Alabama, Texas, Georgia, Carolina, Missisipi, ma avevano scarsa mano d’opera per coltivare queste enormi estensioni per cui cosa c’era di più semplice dello andare a prelevare con la forza in altro continente della gente tra i 20 e i 40 anni giovane quindi e in buona salute e farli lavorare con la frusta gratuitamente nei campi di cotone, di tabacco, della canna da zucchero? Assolutamente niente.
Cosa possedevano questi neri giganteschi quando sbarcarono in America ? Nulla, a stento un perizoma per coprire le pudenda, un bellissimo corpo erculeo, e si portavano ovunque andassero il ricordo ancestrale del loro paese di origine pieno di nostalgia e di tanto dolore. La vita degli schiavi era improntata a una crudeltà inaudita: le frustate erano all’ordine del giorno, le donne anche bambine venivano stuprate
di continuo, anzi i proprietari terrieri favorivano l’accoppiamento, in tal modo le donne restavano incinte per poi partorire altri schiavi ma gratis questa volta. Gli indiani d’America erano stati sterminati prima dai conquistadores spagnoli e poi dagli americani del Nord America e ora erano stati sostituiti dagli schiavi neri importati dall’Africa.
Li avevano privati dei loro nomi, erano
spregiativamente chiamati “negri” oppure con un nome e cognome uguale per tutti i neri: “Jim Crow”.
Il link che segue permette di ascoltare un canto eseguito da uno dei primi cantanti di musica afroamericana chiamato Leadbelly e che ha per oggetto proprio “Jim Crow”.
https://www.youtube.com/watch?v=Fq0lXTTS_1E
Testo In italiano:
Ho viaggiato, ho viaggiato dalla punta dei capelli ai piedi
Ovunque io sia stato ho trovato un vecchio Jim Crow
Una cosa, gente, voglio che tutti sappiate
troverete Jim Crow in ogni posto in cui andrete
in Louisiana, nel Tennessee, in Georgia, un posto fantastico dove andare
a stare insieme, spezzate questo vecchio Jim Crow che
ho detto a tutti alla radio
Deciditi e distruggi questo vecchio Jim Crow
Portavano nella loro mente i ritmi, la musica dei loro paesi di origine ma a loro era vietato suonare qualsiasi strumento musicale eccezione per le percussioni che erano dei tronchi d’albero cavi percossi con delle bacchette di legno. Era il ritmo della loro musica che veniva scandito nei rari momenti di riposo. Solo il sabato pomeriggio era concesso di riunirsi in una enorme spianata chiamata Congo Square nel quartiere di Storyville a New Orleans, di mettersi in circolo uno dietro l’altro e camminare strisciando i piedi per terra al ritmo ossessivo dei percussionisti che diventava sempre più veloce causando stati di estasi e di vera e propria ipnosi forse aiutata anche dalla ingestione di estratti da un cactus senza spine che si chiama Peotl da cui si estrae la mescalina o la psilocibina che sono potentissimi agenti allucinogeni e dispercettivi. Dalla Psilocibina si ricava l’LSD.
Altre volte era un vero e proprio rito voodoo che si celebrava all’aperto. In Africa gli strumenti a fiato cosi come noi li conosciamo in Europa erano del tutto sconosciuti. La loro musica,
che si avvaleva di una scala pentatonica, elemento caratterizzante le loro composizioni, aveva come strumenti fondamentali le percussioni che usavano da maestri. Questo è un dato fondamentale per capire come attraverso i secoli si è pervenuti a quel tipo assai originale di musica che prima si chiamò Jass e poi finalmente Jazz. Le prime formazioni si chiamarono infatti “Orginal Jass Band”.
A questo stadio ci si arrivò dopo secoli e si cominciò a parlare di Jazz agli inizi del 1900. Nella fotografie che seguono si può avere una idea della vita degli schiavi nero-americani nei secoli scorsi.
Il primo fotogramma è una ripresa di una stampa del settecento che mostra un gruppo di africani incatenati l’uno all’altro e sotto il controllo di un negriero a cavallo marciano verso il porto d’imbarco per l’America.
Nel secondo fotogramma è riprodotto un bando d’asta di 440 negri posti in vendita. L’avviso d’asta informava gli interessati compratori di schiavi che si poteva prendere visione della “merce” tutti i giorni dalle 10,00 alle 14,00 fino al giorno dell’asta: forse i cavalli, i muli, gli asini erano trattati meglio.
Il terzo fotogramma è terribile: mostra come è ridotta la schiena di uno schiavo nero dopo ripetute punizioni a base di frustate. Sono immagini atroci di cui ritengo opportuno che ciascuno di noi ne prenda coscienza perché si tratta di genocidio.
Come convinto assertore del potere storico/documentario che la fotografia possiede, debbo ammettere che quello che si vede in questi fotogrammi è superiore alla descrizione che moltissimi storici hanno fatto nel
corso dei secoli dello schiavismo. I numeri dicono che nel periodo della schiavitù, sono arrivati nelle Americhe circa 12.000.00 di schiavi a monte di circa 25.000.000 partiti dall’Africa nello stesso periodo, più del 50% moriva durante il viaggio transatlantico. La schiavitù negli USA fu abolita dopo che gli Stati del Sud degli USA persero la guerra civile e nel 1870 l’allora Presidente
Abramo Lincoln proclamò la fine dello schiavismo. Nei secoli intercorsi tra l’inizio dello schiavismo e la fine della schiavitù che musica produssero gli schiavi?
Non potendo loro suonare alcun strumento si adattarono per esempio a utilizzare gli assi per lavare la biancheria che venivano percossi nei loro intagli con le dita inserite
in ditali di metallo: erano i cosiddetti washboards, primi rudimentali strumenti musicali, oltre alle percussioni.
Ma la loro musica principale era il canto che richiamava i canti della loro terra d’origine in Africa e che erano tramandati verbalmente di generazione in generazione. Lo stile di questi canti si basava sulla antifona che si articola sulla chiamata (call) del cantante solista cui rispondeva il coro (response) dei compagni lavoratori. I canti che risuonavano nelle piantagioni di cotone, di canna da zucchero, di granoturco, sulle banchine dei porti fluviali e più in generale nei luoghi di lavoro del Sud, negli anni della schiavitù e anche in epoca più recente, sono certamente nel folklore nero-americano quelli più importanti.
C’erano canti che servivano a comunicare messaggi d’ogni genere: per chiamare la gente fuori dai campi per invitarla ad andare al lavoro, per attirare l’attenzione di una ragazza a distanza, per segnalare la presenza di cani che spesso venivano aizzati contro gli schiavi senza una ragione, così come facevano i nazisti nei loro campi di sterminio contro gli ebrei.
Erano canti totalmente improvvisati che spesso si sviluppavano attorno alla voce di un solista e tutti gli altri facevano da coro. C’erano tre luoghi dove normalmente si potevano trovare gli schiavi: a) nelle fattorie al lavoro, b) sotto terra morti e c) nelle prigioni.
Molti canti furono composti da schiavi prigionieri durante i lunghi anni di detenzione e spesso veniva comminata una lunga pena del carcere per anni solo per motivi futili. Il canto di cui vengono riportate più sotto
alcune strofe fu composto da prigionieri in una carcere del Texas e si intitolava “Go down old Hannah”, “Perché non scendi giù vecchia Hannah” e la vecchia Hannah era per i prigionieri il sole.
Essi preferivano il buio alla luce del giorno perché la luce del sole poteva portare altre condanne o rendere visibile un prigioniero morto durante la notte.
E’ un canto composto probabilmente nel 18° secolo.
Perché non scendi giù vecchia Hannah,
Non ti alzare più, non più
Perché non scendi giù vecchia Hannah,
Non ti alzare più.
Se ti alzi al mattino,
porti un giudizio sicuro,
Se ti alzi al mattino, al mattino,
porti un giudizio sicuro.
Bene, ho guardato la vecchia Hannah,
stava diventando rossa,
Poi ho guardato il mio partner,
Era quasi morto
Dovresti essere stato su questo vecchio Brazos
Back in diciannove e per due!
Potresti trovare un uomo morto
Giacendo attraverso la tua fila
Perché non ti svegli vecchio morto
aiutami a portare la mia fila, ….
Il primo rigo di ogni strofa è ripetuto due volte che è una struttura che precede di secoli quella del blues. Certamente la traduzione lascia alquanto a desiderare ma è una traduzione letterale e da una idea di come si sviluppassero i canti tra gli schiavi e soprattutto come era il testo. Il link sottostante propone questo canto così come era cantato negli anni della schiavitù.
https://www.youtube.com/watch?v=0qihABs5sQk&list=PLcxxc3BIKvCE37AHDmjNqR0Aj-zW1mTgC
Con la costruzione delle ferrovie molti canti avevano per oggetto il treno. Era un mezzo di trasporto in parte sconosciuto dagli schiavi ma che esercitava in essi un fascino irresistibile. Il treno, oltre ad avere un significato erotico nei loro canti, era anche il mezzo con il quale essi potevano spostarsi ovunque in assoluta libertà e verso la libertà, specialmente dopo l’abolizione della schiavitù. Il brano più celebre che ha per tema il treno è Honky tonk train blues, un boogie woogie composto ed eseguito da “Meade Lux Lewis”.
https://www.youtube.com/watch?v=ne_U25ryLjc
Il soggetto del treno fu poi un tema ricorrente con il blues a partire dal 1900: in molti blues il treno veniva evocato come il mezzo che avrebbe portato il cantante al Nord dove i neri erano trattati con umanità e potere ottenere la libertà, oppure che lo portava lontano dalla sua amata: sono tutte poesie te da povera gente improvvisando musica e parole. Per colmo della ipocrisia i proprietari di schiavi avevano sensi di colpa nei loro confronti non per la schiavitù in se ma per il fatto che gli schiavi non erano cattolici o quacqueri ma credenti in religioni animistiche dei loro paesi di origine; allora imponevano ai poveri Cristi, è proprio il caso, di convertirsi alle religioni cristiane. Allora vennero a contatto con i riti religiosi cristiani e con la Bibbia che per molti di loro rappresentava la unica via di consolazione e speranza di una loro futura emancipazione.
Spesso facevano delle commistioni di riti africani voodoo con quelli cattolici e gli Orishas erano le divinità africane più frequentemente invocate .
Dalla loro conversione al Cattolicesimo nacquero i canti religiosi, che furono eseguiti nelle Chiese al termine dei riti da cori formati da solo neri e senza l’accompagnamento di strumenti: nacquero cioè i gospel.
IL JAZZ LA MUSICA DEL NOVECENTO 3° cap- di Rosario Sanguedolce
Oh Happy day: è interessante iniziare questa puntata con il titolo del più famoso inno religioso, gospel, composto nel 1700 dai nero-americani e arrivato ai nostri giorni così come era cantato in quell’epoca. Mahalia Jackson ne fu una delle più celebrate interpreti ma tutti i cantanti di Jazz si sono cimentati con questa composizione che presenta caratteristiche uniche e non c’è stato gruppo canoro o cantante solista che non lo abbia improvvisato in qualche sua parte. E’ un inno che il popolo nero eleva a Dio con un ritmo, una potenza di canto che lascia stupefatti, storditi e ammirati per la sua bellezza. Ray Charles nè da una interpretazione straordinaria che è udibile e visibile nel link più sotto riportato. Musica bellissima che solo il popolo nero ha saputo creare e tramandare attraverso i secoli. Si avverte che il ritmo è frenato, è pulsante, sincopato, prima lento e maestoso per poi esplodere nella parte corale. Si susseguono frenate e accelerazioni improvvise che rendono l’ascoltatore in continua tensione emotiva. I frequenti break portano la tensione a livelli molto alti per poi sciogliersi nel canto del solista.
Di “Oh Happy days” propongo l’esecuzione dei due cantanti: la prima è quella più antica ed è eseguita da Mahalia Jackson nella quale la cantante inizia il brano con un tono di voce dolce, solenne e suadente, per poi aumentare il ritmo che diventa incalzante con break che sciolgono la tensione che si percepisce e si va accumulando con il procedere dell’esecuzione. Potenza della voce e coinvolgimento emotivo vanno di pari passo.
https://www.youtube.com/watch?v=IHEE52X6pZ4
La seconda è quella di Ray Charles piena di pathos, di vigore, di forza anche se Ray non canta molto, ma la sua presenza infonde al coro una energia incredibile. Il ritmo iniziale è lento e maestoso per poi andare ad accelerare sempre senza strappi, gradatamente, per portare gli ascoltatori ad uno stato quasi di estasi. Splendido il finale dove lui indugia a salutare il pubblico quasi non volesse staccarsi dall’abbraccio affettuosi dei suoi fans abbracciandoli tutti lui stesso. Incanutito, anziano ma grande interprete della musica afro-americana: il mondo della musica gli deve molto.
https://www.youtube.com/watch?v=wv5n_eCGkvM
La foto bene rappresenta il carattere di Ray Charles cantante: una forza di canto esplosiva, una capacità di coinvolgere l’ascoltatore inverosimile: un uragano di emozioni.
A seguire il testo italiano delle prime 2 strofe di Oh Happy days
Oh, felice giornata (oh buon giorno)
Oh, felice giornata (oh buon giorno)
sì, quando Gesù lavò (quando Gesù lavò)
Quando Gesù lavò (quando Gesù lavò)
Quando il mio Gesù si lavò (quando Gesù si lavò)
Ha lavato via i miei peccati
(Mi ha insegnato come) Oh mi ha insegnato come (lavare)
(combattere e pregare) per combattere e pregare
(combatti e prega) E lui mi ha detto come vivere in gioia
(E viviamo allegri) Sì, sì, oh sì
(Tutti i giorni) Ogni giorno oh sì (ogni giorno!)
La conversione forzata dei neri d’America alla religione cattolica, li portò a contatto con le Sacre Scritture e la forza della predicazione di Gesù Cristo esercitò in essi un fascino enorme. Dalla conoscenza della Bibbia essi ricavarono ispirazione per canti religiosi che spesso erano eseguiti da cori di uomini e donne con un ritmo travolgente: gli inizi del canto erano lenti e maestosi per poi accelerare sempre di più fino a raggiungere esiti parossistici. Erano i gospel e gli spirituals. Dicevano i negrieri proprietari delle fattorie che un negro che canta è un buon negro perché in questo modo non pensa.
La musica Gospel e Spiritual piantò il suo seme quando, a partire dal 1500, donne e uomini liberi africani si ritrovarono sbattuti nelle zone costiere del loro paese per aspettare l’arrivo di navi di tutte le bandiere, che li avrebbero portati a morire lungo il tragitto o nelle piantagioni e nelle miniere del nuovo mondo. In Africa avrebbero lasciato non solo tradizioni, lingua e religione, ma anche la libertà e la dignità di esseri umani.
I neri avevano però custodito in fondo all’anima il ritmo d’Africa, un ritmo che batteva forte per ricordargli che nonostante il lavoro, la violenza e le umiliazioni, erano esseri umani.
La loro musica li accompagnava spesso durante il giorno e, per alleviare la fatica, nacquero le Plantation Songs (canti della piantagione) da cui derivarono i Work Songs (canti di lavoro) e i Calls (richiami), utili per comunicare tra loro e con le organizzazioni che aiutavano gli schiavi a fuggire. Quando, in seguito, i predicatori battisti e metodisti venuti dall’Europa li convertirono al Cristianesimo, essi cominciarono a cantare canti religiosi, chiamati Spirituals, derivati dagli inni inglesi ai quali aggiunsero i ritmi e i colori africani.
Nello Spiritual è spesso presente il racconto biblico, che esprime la speranza di liberazione e salvezza per l’oppresso: il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe prende il posto degli dèi pagani della tradizione africana e gli eroi del Vecchio Testamento diventano gli eroi di un popolo di schiavi, in un’assoluta simmetria di sofferenze, attese e certezze tra l’ebreo in cerca della terra promessa e lo schiavo, con il suo dolore, la sua ricerca di libertà e la sua attesa di pace, non qui forse, ma nell’altra vita, “al di là del fiume Giordano”. Alla fine dell’800 il patrimonio dei canti religiosi afro-americani inizia ad essere raccolto, studiato e ri-arrangiato, attingendo musicalmente alle nascenti forme del jazz e del blues. Negli anni ’20 Tom Dorsey rielabora i generi sacri afro-americani, modernizzando gli antichi moduli espressivi senza tradirli e definendo la nascita di un nuovo genere: il Gospel.
Il Gospel continua, sia pur in forme diverse, il cammino tracciato dallo Spiritual. La musica diventa più sincopata, più elaborata, i testi diventano più personali e meno comunitari, ma l’anelito alla libertà rimane invariato: negli Spirituals riguarda la schiavitù imposta dai padroni bianchi, mentre nel Gospel riguarda la rivendicazione dei diritti civili e le varie forme di schiavitù personali, da cui ogni essere umano aspira a liberarsi.
Con questo capitolo concludo la parte della storia figurata e musicata della Musica Jazz relativa alle sue origini. Parlare subito di questa musica senza conoscere le sue origini forse non avrebbe avuto molto senso e non avrebbe aiutato la comprensione del fenomeno. Fondamentale la conoscenza della storia, ovviamente molto sintetica, dei neri d’America perché questa contribuì in modo determinante alla nascita e allo sviluppo del Jazz. Intorno al 1870 la scena musicale dei neri comincia a cambiare: fa la sua comparsa il ragtime la prima vera espressione musicale originale dei neri eseguita al pianoforte e inventata da Scott Joplin e nel 1900 il blues irrompe nel panorama musicale dei neri.
Il blues, è poesia composta al momento ed è una tappa fondamentale nelle evoluzione della musica afro americana; ancora non si può parlare di Jazz ma il blues è la fase immediatamente precedente la nascita del Jazz. Il blues è una composizione cantata con l’accompagnamento della sola chitarra, poi evolverà con l’inserimento successivo di altri strumenti e col passare del tempo la struttura musicale del blues che è di 12 battute, sarà molto spesso presente nelle composizioni strumentali per piccolo complesso, grandi orchestre e solisti. Il Jazz nasce a New Orleans con composizioni a ritmi veloci: discutere della data di nascita è superfluo. Il Jazz di New Orleans è stato spesso etichettato come Jazz caldo, hot Jazz, in contrapposizione con il Jazz moderno che è definito Jazz freddo o cool Jazz. Questo per chi ama etichettare le cose, ma un musicista nero americano, interpellato da un giornalista sulla differenza tra Jazz caldo e freddo, lo guardò stranito e rispose che quella era una distinzione operata dai bianchi; per i neri esiste solo il Jazz e basta. Mi fermo qui in questa enunciazione delle tappe del Jazz perché con il Jazz di New Orleans si raggiunsero livelli qualitativi eccellenti, basta ricordare solisti eccezionali come Louis Armstrong, Jelly Roll Morton, Kid Ory, King Oliver ed altri di cui parlerò in maniera molto particolareggiata da qui in avanti. In conclusione mi piace ricordare una dichiarazione che rilasciò Louis Armstrong a un giornalista il cui senso è
“E cosa credi che fossero gli spirituals, i blues e tutto il resto se non il nostro inno, la nostra lode al Signore? E come credi che allora avrebbero potuto resistere i neri nelle piantagioni senza di Lui, senza la fede, senza la speranza in Lui? Si sarebbero suicidati tutti, credimi, se non avessero ascoltato la Sua voce. Ecco soltanto questo è il Jazz: la nostra speranza in Lui”.
Rosario Sanguedolce
Ringrazio l’autore di questo articolo perchè fa avvicinare al Jazz in modo chiaro, semplice e accattivante. Per me che non conosco questo genere, è sicuramente di stimolo. Avevo sul Jazz solo conoscenze frammentarie e poco corrette con pregiudizi. Adesso ho compreso che il Jazz è davvero un pezzo importante del mondo musicale. Grazie ancora al prof. Sanguedolce.
Caro Gaetano, ti ringrazio per le tue considerazioni su quanto sto cercando di raggiungere con questo corso sulla Musica Jazz e su questi capitoli sul Jazz. Tutto questo non avrebbe alcun valore se non ci fossero persone come te che stanno dimostrando un interesse crescente nei confronti di una esperienza musicale che non solo non si è arrestata ma che comunque continua il suo percorso coinvolgendo persone come te dotate di una sensibilità molto forte.
Bellissima esposizione di un argomento, quello della storia del Jazz, che merita di essere studiato ed approfondito oltre che dal punto di vista musicale anche da tutti i suoi aspetti di varia natura (sociale, storico, politico ecc.) che ne stanno dietro.
Mi reputo fortunato ad avere incontrato la persona giusta, competente ed appassionata, quale tu sei, che passo passo mi sta guidando in un percorso che fino a poco tempo fa mi era semi-sconosciuto.
Grazie Prof. Sanguedolce