La Ricerca del Senso della vita nel tempo di crisi di Nicolo’ Rosario Lombardo
LA RICERCA DEL SENSO DELLA VITA NEL TEMPO DI CRISI
INFORMAZIONE E FORMAZIONE NELLA SOCIETÀ COMPLESSA
Natura della crisi
La crisi che stiamo attraversando da alcuni anni (convenzionalmente dal 2008) e che continuiamo a chiamare economica, in realtà dobbiamo ammettere che è molto di più e molto peggio. È una crisi esistenziale che viene dalle profondità dell’evoluzione storica, non soltanto in Europa e in Occidente, ma nel mondo intero. Si avverte come crisi economica, ma, in effetti, è una crisi dai molti volti.
In questa crisi generale, tutte le funzioni complesse e superiori sono ferme. Rimangono attivate solo quelle vitali e sensoriali, che permettono di toccare il mondo, di avvertire stimoli a cui si risponde automaticamente.
Le cause che hanno determinato l’odierna crisi
Una delle cause che hanno determinato la crisi della società odierna è un cattivo funzionamento della mente, che ha prodotto una malattia chiamata Amentia.
Amentia è un termine dalla etimologia composita, che mette insieme un alfa privativo a sostantivo «mente». Tale malattia può essere intesa in due sensi: non si usa la mente perché non la si ha, oppure perché non funziona.
Il primo elemento della malattia Amentia è dato dalla mancanza della mente, non tanto perché vi possa essere una lesione accertata del cervello come nella demenza, ma perché la somma variegata dei sintomi è tutta riconducibile a una mente che non funziona o che non è attivata.
A complicare la crisi hanno contribuito tre fenomeni distinti: a) L’imporsi della cultura dell’immagine (dall’avvento della televisione in poi); b) La crescita della complessità reale del mondo moderno; c) La paradossale diminuzione delle competenze formative nella popolazione in generale.
Sull’avvento della cultura dell’immagine c’è da dire che l’immagine ha ucciso i tempi di riflessione. Una marea di cambiamenti sempre nuovi, sempre diversi ha generato delusioni, confusione e disorientamento.
Per quanto riguarda la complessità c’è da dire che la crescita delle comunicazioni e della globalizzazione economica ha reso il mondo molto più complicato di come poteva apparire nel 1920 o nel 1945.
Ciò significa affrontare i temi relativi alla luce non più di princìpi e categorie immutabili bensì di una filosofia dell’incertezza, giacché essi vanno studiati secondo una pluralità di valutazioni, non mai intuita prima.
Per quanto riguarda la formazione, c’è da dire che l’incremento di complessità è stato affrontato dagli Stati democratici con un’attenzione decrescente alla formazione della cittadinanza. Come è noto, l’analfabetismo funzionale è divenuto un problema serio per molti paesi occidentali, l’Italia compresa. Ma anche dove non si ci trovi di fronte a forme conclamate di incapacità culturale, la formazione necessaria a seguire discorsi anche modestamente astratti è tendenzialmente bassa e decrescente.
I compiti formativi in una “nuova” società
La nostra epoca, immersa in problemi economici, produttivistici e consumistici, va perdendo il «senso della vita». Si constata come sia venuta meno una visione antropologica che consenta di affrontare tutti i problemi relativi all’esistenza umana da un punto di vista globale, che tenga conto di ciò che l’uomo è, prima ancora di ciò che l’uomo dovrebbe fare. Oggi i problemi umani vengono affrontati più in chiave di «fare» che non in chiave di «essere». In altri termini, si potrebbe dire che oggi l’uomo sta dimenticando chi egli «è », sta smarrendo se stesso.
Si scivola così insensibilmente ma inesorabilmente in un senso di assurdità, di sfiducia, di insoddisfazione, di vuoto.
Non è esagerato dire che, in questi ultimi anni, è stato creato un vero e proprio “deserto”: aridità nei rapporti politici e sociali, aridità morale, assenza della linfa vitale della democrazia.
I compiti “formativi” che ci si appresta ad affrontare nei prossimi anni, per ristabilire l’equilibrio perduto, sono immensi. Occorre adesso attraversare il deserto (politico, sociale, morale, democratico, religioso, …) e arrivare a delle “oasi” di etica: recupero dei valori etici e politici, giustizia sociale, rigore morale, passione per il bene comune, autentica democrazia, autentica religiosità (e non soltanto una religiosità decorativa), una educazione di fondo, basata sulla lotta all’individualismo e sulla ricerca di grandi valori. In definitiva, occorre impostare una “nuova” visione della vita e dell’uomo, conquistare una nuova humanitas, percorrere un cammino che porti ad una apertura ai valori, nella convinzione che la vita stessa è ricerca di valori da realizzare, da vivere e, in ultima analisi, da attuare in determinate situazioni.
Una grande speranza: la ricerca dello spirituale
La nostra grande occasione sta nello sforzo per uscire dal circolo vizioso di un’eccessiva razionalità e di un’eccessiva irrazionalità e per recuperare l’equilibrio tra i due elementi che costituiscono la nostra natura, poiché l’elemento razionale e quello irrazionale si contraddicono tanto debolmente quanto il sentimento e la ragione. Bisogna restituire dunque alla psiche malata la forza dei sentimenti, porre fine all’atrofia e al disprezzo di quel fondamento sostanziale che per completezza definiamo sentimento. Bisogna guardare quell’arco portante teso fra le polarità del nostro essere in un riferimento complessivo con la realtà, in cui tutte le sfere esistenziali confluiscono in un’acquisizione di conoscenza; le scienze naturali come pure l’arte, la filosofia, la religione. Un tale riferimento porta molta attenzione allo spirituale.
Una delle poche dottrine atte a insegnare proprio questo è la «Logoterapia e Analisi Esistenziale di Viktor E. Frankl», che non rappresenta né una dottrina della salvezza che promette il paradiso in terra, né alimenta quell’angoscia catastrofica oggi dilagante che non fa altro che minacciare e ammonire costantemente. A mio avviso, essa rappresenta il ritorno al principio della speranza nella psicoterapia, poiché apre l’uomo a ogni riferimento non nella «dimensione del profondo» (Freud), ma nella «dimensione dell’altezza» (Frankl) che solo può ancora proteggere e curare la psiche malata in un mondo malato.
Modalità di cura per la società malata: la biblioterapia.
Un metodo per curare questa società malata è la “biblioterapia” (libri che aiutano a guarire). In base ai risultati di recenti studi scientifici, è stato verificato che talune malattie (ansia, depressione, malinconia, angoscia, ecc.) possono essere curate per mezzo della lettura.
Da questo punto di vista, si può dire che il libro è uno “strumento terapeutico”, in quanto offre un autentico aiuto per vivere bene e per morire bene.
A differenza dei media (TV, Radio, etc.) e del condizionamento da essi esercitato, il libro esige selettività.Non si può aprire e chiudere un libro come si fa con la Radio o la Televisione. Per il libro occorre una decisione, una scelta: occorre leggerlo, soffermandosi di tratto in tratto per pensare. Così, in un mondo del lavoro che corre il rischio della disumanizzazione, la persona crea delle isole sulle quali non solo può dilettarsi, ma anche riflettere, meditare e concentrarsi.
La nostra grande occasione sta nello sforzo per uscire dal circolo vizioso di un’eccessiva razionalità e di un’eccessiva irrazionalità e per recuperare l’equilibrio tra i due elementi che costituiscono la nostra natura, poiché l’elemento razionale e quello irrazionale si contraddicono tanto debolmente quanto il sentimento e la ragione. Bisogna restituire dunque alla psiche malata la forza dei sentimenti, porre fine all’atrofia e al disprezzo di quel fondamento sostanziale che per completezza definiamo sentimento. Bisogna guardare quell’arco portante teso fra le polarità del nostro essere in un riferimento complessivo con la realtà, in cui tutte le sfere esistenziali confluiscono in un’acquisizione di conoscenza; le scienze naturali come pure l’arte, la filosofia, la religione. Un tale riferimento porta molta attenzione allo spirituale.
Per quanto riguarda la biblioterapia, c’è da fare una particolare annotazione. La fisiologia cerebrale ci insegna che l’emisfero sinistro e quello destro del cervello hanno una diversa valenza qualitativa. A sinistra c’è il centro del linguaggio, del pensiero concettuale-analitico e logico-discorsivo, dell’udito, della facoltà di comprensione lineare-consequenziale. L’emisfero destro del cervello, invece, è deputato alla percezione intuitivo-spaziale, alla visione, al riconoscimento di immagini e notizie visive, alla comprensione del tutto: una facoltà umana poco esercitata in passato, diremmo trascurata nell’evoluzione dello spirito europeo. Ma in questo emisfero destro del cervello si svolgono anche i processi connessi ai mutamenti della coscienza, come quelli provocati da esercizi di meditazione e da droghe allucinogene o psichedeliche. L’allenamento e l’esercizio unilaterali, nel senso di una specializzazione dell’emisfero destro del nostro cervello, come quella che consegue a una forte stimolazione attraverso un flusso di immagini, provoca un prevalere di dilatazioni di tipo visionario della coscienza, avulse dalla realtà, con tutti i pericoli di un’accentuata irrazionalità. Questo è strettamente legato al mutamento del modo di percepire dei giovani. Gli psicologi constatano che un comportamento televisivo viziato ha effetti simili a quelli provocati dagli allucinogeni.
N.R. Lombardo
Naturalmente “guardare” è più facile che “leggere”, per cui l’homo sapiens (l’uomo sapiente), capace di decodificare segni ed elaborare concetti astratti, è sul punto di essere soppiantato dall’homo videns (l’uomo vedente), che non è portatore di pensiero, ma fruitore di immagini, con conseguente impoverimento del capire, dovuto all’incremento del consumo di TV e Internet. E, com’è noto, una moltitudine che “non capisce” è il bene più prezioso di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le folle.
Bisogna pertanto puntare sulla formazione, che presuppone un cambiamento o, meglio, un cambiamento concettuale, inteso come modificazione del significati già acquisiti: non una crescita quantitativa e sommatoria di informazioni, bensì una riorganizzazione qualitativa del reticolo di conoscenze.
Se si vuole prendere sul serio l’idea della formazione del popolo, bisogna abbandonare finzioni sull’intelligenza emozionale e la “saggezza del cuore”.
Il buon senso che poteva funzionare in tribù e villaggi non funziona più in società aperte transnazionali. Chi ha a cuore la democrazia deve guardare il problema in faccia. L’alternativa è lasciarla in mano a proprietari di giornali, a miliardari o istrioni. Occasionalmente a tutte queste cose assieme.
Un’altra grande speranza: la religione
A questo punto, occorre sottolineare che i processi di maturazione globale della persona sono strettamente connessi a quelli della maturazione religiosa.
E quindi bisogna fare l’esperienza di conoscere di nuovo il religioso, quel timore reverenziale, quel mysteriutn tremendum, fascinosum et augustum che si prova di fronte al creato.
Volendo rendersi conto della natura grandiosa della religione, si deve tener presente, secondo Sigmund Freud, ciò che tenta di offrire agli uomini. «Essa dà loro spiegazioni sulla provenienza e sulla genesi dell’universo, assicura protezione e felicità finale nelle alterne vicende della vita, e guida i pensieri e le azioni con precetti che hanno la forza della sua grande autorità. Assolve quindi tre funzioni. Con la prima soddisfa la sete umana di conoscenza, fa quello che la scienza tenta di fare con i propri mezzi, e su questo punto entra in rivalità con essa. Alla sua seconda funzione essa deve certamente la maggior parte della sua influenza. Quando la religione placa l’angoscia degli uomini di fronte ai pericoli e alle alterne vicende della vita, quando assicura loro una felice conclusione e offre conforto nella sventura, la scienza non può competere con essa. La scienza insegna piuttosto come si possono evitare certi pericoli, come combattere con successo alcune sofferenze, e sarebbe ingiusto negare che essa sia un potente aiuto per gli uomini, ma in molte situazioni essa deve abbandonare l’uomo alla sofferenza, e non può far altro che consigliargli di sottomettersi. Quest’ultima, infatti, si accontenta di indagare e di stabilire, benché dalle sue applicazioni possono derivare regole e consigli per la condotta nella vita, che possono eventualmente essere gli stessi offerti dalla religione ma che, in tal caso, hanno una diversa motivazione» (S. Freud Introduzione alla psicoanalisi – Newton Compton Editori s.r.l. – Roma, 2010, p. 444).
Fondamento di un cammino di educazione al senso della vita è la constatazione che l’uomo si fa tale solo nell’interazione con il tu di un’altra persona o con quello di Dio. La dialogicità, però, non esaurisce l’esperienza umana: l’io e il tu, infatti, sono anch’essi orientati verso altre mete da raggiungere, verso i valori. Ogni relazione chiusa in se stessa è destinata a perire. Il che vuol dire che l’autorealizzazione, di cui tanto si parla ai nostri giorni, non può essere lo scopo ultimo dell’uomo, poiché contraddice la fondamentale «autotrascendenza» dell’esistenza umana, laddove per «autotrascendenza», come si esprime Frankl, s’intende il fatto che «essere-uomo vuol dire essere sempre diretto verso qualcosa o verso qualcuno, offrirsi e dedicarsi pienamente a un lavoro, a una persona amata, a un amico cui si vuol bene, a Dio che si vuol servire. Tale autotrascendimento sorpassa di gran lunga una visione monadologistica dell’uomo, secondo la quale questi tenderebbe a valori e a significati che lo superano, e quindi non sarebbe orientato verso il mondo, ma sarebbe interessato esclusivamente a se stesso e quindi cercherebbe solo di conservare e di mantenere l’equilibrio interiore, secondo il principio dell’omeostasi» (Teoria e terapia delle nevrosi, p. 54).
Ciò vuol dire che solo nella misura in cui ci diamo, ci doniamo, ci mettiamo a disposizione del mondo, dei compiti e delle esigenze che a partire da esso ci interpellano nella nostra vita, nella misura in cui ciò che conta per noi è il mondo esteriore e i suoi oggetti, e non noi stessi e i nostri propri bisogni, nella misura in cui noi realizziamo dei compiti e rispondiamo a delle esigenze, nella misura in cui noi attuiamo dei valori, e realizziamo un significato, in questa misura solamente noi ci appagheremo e realizzeremo egualmente noi stessi.
Poi, in tempi di «eclissi del sacro», è opportuno tenere vivo il tema della trascendenza, la quale può essere avvertita e vissuta nella forma di «nostalgia del totalmente altro», o in quella dell’antica «inquietudine agostiniana», o nella forma moderna e romantica di sete di luce e di infinito, che riecheggia in qualche modo il Leopardi, o nella forma del pellegrino (homo viator di G. Marcel), cercatore di Dio, o del credente che ha sete di Dio.
Nicolò Rosario Lombardo