Spine d’Euphorbia
di Josè Rossotti
a cura di Giovanni Perrino
Non è facile recensire poesie d’amore, troppi gli echi letterari, gli exempla che ronzano come nella notte zanzare nelle orecchie.
Eppure le poesie di José ti abbracciano come fossi sulla porta di casa sussurrando che aspettano i tuoi occhi.
Spine d’Euforbia si offre alla lettura con la freschezza della verdura al mercato ancora bagnata di rugiada, leggere questa silloge è come se un amico ti buttasse le braccia al collo o un cane ti saltellasse intorno scodinzolando.
La poesia di José Russotti, fin dalla versificazione, evita la metrica dell’endecasillabo e la forma del sonetto che abbiamo in testa e sulla punta della lingua; in altre parole evita gli schemi classici per offrirci un prodotto nuovo fatto di immagini rutilanti che possono richiamare reportage giornalistici, inquadrature da film o depliant pubblicitari, insomma immagini di questo nostro tempo, sospeso fra tradizioni e tragedie, fra dolori e speranze.
Mi chiedo il perché di quella sensazione di freschezza, quel profumo di fiori di giardino che ti rincorre per le strade dell’innamoramento e, verso dopo verso, ti s’appiccica addosso come un abbraccio di tenerezza.
Versi d’amore che s’aprono al lutto come vuoto e mancanza, distacco per la perdita di una persona speciale come la madre o per un amore che svanisce. Quell’assenza che, pochi versi dopo, si perde fra canti di sirene su una fila di gerani al balcone… “perché i tuoi occhi sanno accendere stelle”.
Poco avanti l’amore è “un canto disperato per non morire… nel fragile germogliare d’una rosa al mattino”.
Versi eleganti e composti quelli di “Spine d’Euphorbia”, versi che hanno il dono della freschezza ma al tempo stesso possiedono una forza e una profondità che si nutre di culture, riflessioni filosofiche e religiose meditazioni.
La poesia è pur sempre la resa in forma di dono di una riflessione culturale fatta di letture, riferimenti, esperienze che la nostra mentre, anche senza una precisa intenzione, introietta e cataloga e conserva scrupolosamente nel tempo per poi renderle al momento opportuno, forse proprio quando maggiore è l’urgenza.
Ritengo che la poesia sia uno di questi momenti di recupero di un universo inconscio ma ben presente ai meccanismi mentali e ciò rende l’opera di Russotti un libro che certamente possiede il ritmo pacato e coerente di questa resa, di questo rendicontare, in forma di versi, certezze faticosamente acquisite in quel tempo del dolore che resiste al tempo e si consolidano in quel magma cicatriziale che è il nostro percorso sui sentieri del vivere quotidiano fra strade sterrate e asfalti bollenti.
L’anabasi è attraversamento, esplorazione di territori a noi ignoti, anabasi è paura del cuore di fronte al mal de vivre del tempo presente. É il dolore per la perdita del sogno, delle illusioni che svaniscono all’alba quando il poeta…” avvolto nel muto silenzio di lacrime cadenzate/dove le ginocchia flettono/sul duro selciato/rinnovo la flebile speranza”.
Contro la morte l’Amore proclama la sua guerra di Liberazione e lo fa nel modo più passionale possibile aiutato e confortato… “da quest’isola inquieta e assolata/mai invernale”. L’isola, l’Alcantara in piena fremente, i paesaggi nei quali si ravvisa l’amatissima Malvagna e le luci dei dolci paesi che punteggiano la valle fino al Mongibello… “che ne sarà di queste case di calce erosa/e pomice di lava antica?”.
Il dolore del poeta trova comunque una composizione nella parola speranza che compare nuda ma pregna di significati in molte poesie. Che sia frutto di una speculazione religiosa o varco montaliano è difficile a dirsi ma è certo che nel cielo poetico di Russotti la speranza è una stella-valore che segna il cammino nei momenti più bui della vita come della storia.
Sbaglia chi pensa che lo sguardo del poeta di Malvagna indugi alla contemplazione e alla riflessione sull’esperienza amorosa come un amarcord passionale ora dolce ora triste.
Torno a pensare all’attraversamento come esplorazione della perdita dolorosa degli affetti più cari ma anche della serenità del vivere in comunione di affetti e valori. La tristezza del quotidiano è una triste epifania cui è impossibile sottrarsi.
La mafia o il terrorismo o il razzismo o la gratuita violenza, ci offrono un presente aspro di conflitti, crudele e voglioso di sangue. In questo contesto la strage di Capaci o la tragedia di Manchester, come mille altre nel mondo contemporaneo, diventano nella poesia delicata di Spine d’Euphorbia, luoghi non della disperazione ma del silenzio o della laica invocazione ad una razionalità eclissata… “Gesualdo dove sei?”
Giovanni Perrino