IL LIBRAIO DI SELINUNTE Roberto Vecchioni ediz. EINAUDI
Recensione di Pierluigi Tamborini
Vecchioni, insieme a De Andrè e Guccini, è stato per tantissimi anni una delle colonne sonore della mia vita. Questi tre mostri sacri non li ho mai considerati dei semplici cantautori, ma dei poeti, gente che dava del tu alla bellezza. Non mi sono sorpreso quando, tra loro, c’è stato chi ha dato alle stampe un romanzo, ampliando così quell’anelito che forse restava troppo compresso tra le pieghe di una canzone. E così non mi sono sorpreso leggendo le pagine di questa favola che, con lo stesso titolo, è stata anche una canzone. Selinunte, terra di Magna Grecia, di templi e di eroi sconfitti dal tempo, gente che “pare non facesse altro che pregare e morire, perché non restano che templi e cimiteri”. Ma non pregavano e in un certo senso non morivano perché qualcosa di loro è rimasto, e se c’è memoria allora c’è vita.
In questo suggestivo scenario Vecchioni mette in scena un suo personalissimo e originale invito alla lettura, a non perdere il senso di un’azione che ci permette ogni giorno di aprire nuovi mondi e al tempo stesso di crescere.
Tutto ciò mi ricorda le parole di Margherita Yourcenar quando afferma che le biblioteche, o in genere tutti i luoghi dove ci sono libri, non sono altro che granai contro l’inverno dello spirito. E se l’inverno, nonostante tutto, si presenta, allora può succedere quello che, in questa storia, è il destino di Selinunte. Un libraio arriva dal nulla, apre il suo negozio, ma non tanto per vendere libri quanto piuttosto per leggerli. Ogni sera prepara le sedie fuori dalla libreria per un pubblico che non si presenta. Ma lui va avanti imperterrito e legge, legge Saffo, Dante, Manzoni e su fino a Tolstoj e al suo Ivan Il’ic. Lo ascolta soltanto un ragazzo, nascosto tra pile di libri, lo ascolta e impara la saggezza dei secoli, impara parole, una merce preziosa che rischia di andare perduta. E così succede, dopo l’incendio della libreria. I libri volano nell’azzurro, si ammassano in attesa di qualcosa che alla fine arriva. Un omino vestito di verde, il pifferaio magico di una storia raccontata tanto tempo prima. Soltanto che dietro a lui stavolta non ci vanno i topi bensì i libri, migliaia di libri che insieme a quello strano personaggio, finiscono a galleggiare sul mare. E così si perdono le parole e la vita non è più la stessa.
Resta soltanto un testimone, il ragazzo che amava ascoltare le storie e con lui ci resta la speranza che un domani tutto possa ritornare come prima. La leva che può cambiare il mondo non è altro che la parola più bella del mondo: amore.
Perchè “tutte le parole scritte dagli uomini sono forsennato amore non corrisposto; sono un diario frettoloso ed incerto che dobbiamo riempire di corsa, perché tempo ce ne è poco. Un immenso diario che teniamo per Dio, per non recarci a mani vuote all’appuntamento”.
Da parte mia non posso aggiungere altro, non ho altro da dire se non invitarvi a leggere questo delicato, intenso, coinvolgente e infine emozionante invito alla bellezza.