Pierluigi Tamborini1

DIO DI ILLUSIONI di Donna Tarrt

Recensione di Pierluigi Tamborini

La domanda è molto semplice. Se è vero che la bellezza salverà il mondo, l’ossessiva ricerca della bellezza riuscirà a perderci? La risposta è altrettanto semplice e sta tutta in una parola: eccesso. E quando si verifica questa condizione non c’è niente da fare, perché la tragedia ha preso un appuntamento con voi e a questo genere di incontri non manca mai.
Ho cercato a lungo di inquadrare il romanzo di esordio di Donna Tarrt in un genere particolare, ma alla fine ne ho tratto una sola conseguenza e cioè che sfugge ad ogni catalogazione. Qualcuno ha parlato di thriller, ma qui dopo due righe dall’inizio è già tutto molto chiaro. Ce lo racconta il narratore e protagonista di questa storia a tinte gotiche. Lui e la sua compagnia di sbalestrati hanno ucciso un loro compagno e lo hanno fatto per nascondere un altro delitto efferato.
Tutto quello che segue è una lucida narrazione, a distanza di anni, di quanto è accaduto tra le mura di un college sperduto nel New England. Atmosfere perfettamente descritte che ti calano in una realtà che all’inizio, e anche qui è una pura illusione, sembrerebbero evocare i ritmi e le pulsioni de “L’attimo fuggente”. Ma non è così, non è affatto così. Anche qui c’è un professore, un esteta che sembra essere un semidio per i suoi scarsi allievi. Tiene un corso di greco antico per pochi adepti, cinque ricchi e dissoluti figli di una gigantesca noia, cui si aggiunge un elemento esterno, un californiano spiantato che una borsa di studio ha proiettato nelle cupe situazione in cui si dibatte una banda di disperati alla ricerca di qualcosa per cui valga la pena di stare al mondo. Fine delle assonanze. Tra fiumi di alcol e droghe una parte della vita è dedicata allo studio e con esso alla ricerca di una bellezza malata.
Nietzsche parlava della nascita della tragedia greca contrapponendo l’apollineo al dionisiaco. Da una parte il dio Apollo, il dio della giusta misura che si può tradurre con una sola parola, vale a dire armonia. Dall’altra c’è Dioniso, il dio delle illusioni e dell’eccesso, il Bacco dei latini, un inno al vino e alla sregolatezza.
Menti fragili o scientemente corrotte? Non lo sappiamo, ma quello che balza agli occhi è che il confine dei sensi sembra non debba più bastare. Come in un brutto video psichedelico in quattro si dedicano ad un vero e proprio baccanale con tanto di vestiti dell’epoca, in mezzo a campi sconfinati di un territorio quasi vergine. Quasi. Perché in preda a questa estasi furiosa si ritroveranno di fronte al proprietario del campo e non si sa in preda a quale esaltazione paranoica, lo lasceranno morto a terra.
Sarà il quinto elemento, quello assente a fare due più due della scarse notizie giornalistiche che non sono in grado di dare una spiegazione a quanto successo. E conoscere i fatti, per uno che in realtà è spiantato economicamente, diventa una fonte di potere e di potenziale ricchezza. Esiti che il branco non può permettere o tollerare. E così scatta il secondo delitto. La cosa sconvolgente è che nei mesi che seguono non ci sono tracce, se non labili, di pentimento in nessuno dei protagonisti, ognuno votato a rovinarsi la vita come meglio può. Persino il professore, una volta a conoscenza di come si sono svolti i fatti, troverà la più vigliacca delle soluzioni mostrando il suo vero volto.
E’ chiaro che con tutte queste premesse sia quasi obbligatorio un altro tragico finale, che ovviamente non andrò a svelare.
Ma dietro a tutto questo, intorno a tutto questo c’è la capacità descrittiva di un’autrice sorprendente, un’opera prima dove c’è struttura profonda e tanta sostanza. Non è un romanzetto qualsiasi, è un signor libro con gli attributi e un’analisi dei personaggi molto profonda. Un libro che non può lasciare indifferenti, il respiro ampio e profondo di una tragedia greca trasportata pari pari al di là dell’oceano.
Donna Tarrt ci prende per mano e ci porta come un novello Virgilio in mezzo ad un mare di eccessi, situazioni che per noi potrebbero sembrare improponibili, eppure anche se portate all’estremo, possibili in un mondo dove regna indisturbata la noia. Perché è da qui che comincia tutto, dalla mancanza dei valori più elementari, fatto ancor più grave perché appannaggio di menti che invece dovrebbero trarre da quello che studiano gli elementi per una corretta crescita interiore. Qui invece tutto è marcio, l’amicizia si rivela figlia dei compromessi e delle opportunità, l’amore è una parola che non trova né pace né patria, persino gli stretti rapporti di parentela sono altamente insani al punto di sfociare in probabili incesti. Un quadro desolante e privo di speranza, lo specchio di una società che si è assolta troppe volte. O forse anche l’occasione di meditare su come sarebbe facile stare al mondo e quanto tutto questo spesso diventi discepolo dell’impossibile e si concretizzi soltanto nell’incredibile fatica di vivere.