FATTI E MISFATTI DELLA PROFONDA SICILIA
MORTE PER ACQUA di Rino Messina
Recensione di Pippo La Barba
Nel volume “Morte per l’acqua” edito dall’Istituto Poligrafico Europeo, il magistrato Rino Messina rievoca l’esito tragico di una pacifica protesta per l’acqua che costò la vita a tre donne e un ragazzo.
Nel 1954 a Mussomeli, paese dell’interno della Sicilia tristemente noto come avamposto della vecchia mafia rurale, cosiddetta “del Vallone” e come patria del famigerato Giuseppe Genco Russo (già nominato sindaco dagli americani nel 44), la sconsiderata condotta del comandante della locale Stazione dei Carabinieri Giuseppe Sturiale e l’acquiescenza del sindaco di allora Giuseppe Sorce, trasformarono una pacifica manifestazione in una tragedia. L’uso ingiustificato dei lacrimogeni disposto da Sturiale per disperdere la folla (pacifica) di manifestanti provocò un panico generale che poi finì tragicamente.
Così l’autore Rino Formica descrive la scena del fuggi fuggi delle circa 2000 persone che avevano partecipato alla protesta: “La folla, accecata, intossicata, atterrita sbanda, si assiepa lungo l’unica uscita praticabile, quella via della Vittoria fatta a imbuto, larga circa sette metri all’imbocco da piazza Firenze e solo tre metri allo sbocco su piazza Manfredi Chiaramonte”. Conseguenza fatale il pestaggio reciproco delle persone, che causò quattro morti e numerosi feriti. Morti e feriti regolarmente ignorati dallo Sturiale e dagli altri carabinieri presenti, ma anche dal sindaco Sorce. Cosa aveva determinato quella protesta finita nel sangue?
Nel febbraio 54 a Mussomeli manca l’acqua, ma è un problema vecchio. La novità è che due anni prima l’amministrazione comunale aveva deciso di fare ricorso all’ E.A.S. (Ente Acquedotti Siciliani), che aveva accettato l’incarico, senza tuttavia risolvere il problema. Ma nel frattempo il Comune aveva stabilito che il canone annuo dovesse essere ugualmente pagato. In un contesto di miseria diffusa e di un’economia che va male, la popolazione inferocita si ribella. Non intervengono né il Sindaco, il democristiano Giuseppe Sorce, né il Prefetto di Caltanissetta, nonostante le promesse dello stesso sindaco di fare incontrare una delegazione con i dirigenti dell’E.A.S. e con il Prefetto.
La vicenda di Mussomeli è emblematica, perché rappresenta il paradigma della subalternità delle classi deboli al potere politico-mafioso allora imperante. Gli eventi seguiti ai fatti accaduti furono a dir poco paradossali. Un processo penale a carico dei dimostranti si concluse per molti di loro, dopo tre gradi di giudizio, con la sentenza definitiva di condanna emessa dalla Corte di Cassazione, mentre nessun risarcimento fu riconosciuto in sede civile agli eredi delle vittime. Negli archivi degli atti giudiziari relativi alla causa civile si trova traccia di due sole udienze, dopo di che il procedimento si interrompe. Nonostante le accurate ricerche del dottor Messina, non si capisce se la sospensione fu decisa dall’organo giudicante o se fu la parte attrice a ritirare l’istanza, a seguito ovviamente di pressioni sotterranee.
Uno dei tanti “buchi neri” in cui finiscono le legittime aspirazioni alla giustizia dei soggetti deboli e indifesi.
Pippo La Barba