Fare del male non mi piace, la carriera criminale di B. Provenzano
di Giusy La Piana
Recensione di Pippo La Barba
LA MAFIA SILENTE
Nel suo ultimo libro “Fare del male non mi piace, la carriera criminale di Bernardo Provenzano”, edito da Castelvecchi, Giusy La Piana, giornalista-scrittrice e criminologa, indica Provenzano come il prototipo della strategia di nascondimento di Cosa Nostra.
La Piana, basandosi rigorosamente su atti giudiziari e rapporti investigativi, fa un monitoraggio approfondito delle vicende di Cosa Nostra, inquadrandone l’attività criminale nei diversi contesti temporali e ambientali in cui opera. Un alternarsi di insabbiamenti e di esplosioni di ferocia criminale, come l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo dopo quasi tre anni di atroce prigionia. Ma, nonostante gli orrori, nell’agire criminale della mafia tutto si tiene. Le strategie non nascono a caso, ma sono adattate in primo luogo al grado di contrasto che lo Stato, la società civile, la stessa Chiesa esercitano nei confronti di Cosa Nostra.
La strategia terroristica attuata dalla mafia nel ‘93 verso il patrimonio artistico di ispirazione cristiana rappresenta, per Giusy la Piana, “una nuova pagina della cultura mafiosa, da sempre vicina seppure a suo modo, alla religiosità. A provocare l’ira mafiosa contro gli ambienti cattolici fu la decisa presa di posizione di Papa Giovanni Paolo II, il quale, in visita nel maggio 1993 ad Agrigento, con molto vigore esortò gli uomini di Cosa Nostra alla conversione”.
In effetti l’impatto del discorso del Papa sulla manovalanza mafiosa fu dirompente. Alcuni anni dopo, siamo nel ‘96, il pentito Luigi Ilardo, poi ucciso nello stesso anno, afferma: “Ho deciso formalmente di collaborare con la giustizia dopo essermi reso conto di quello che effettivamente ho perduto durante questi anni passati lontano dai miei familiari e dai miei figli, nella speranza che il mio esempio possa essere di monito e d’aiuto a ragazzi, che, come me, pensano di raggiungere l’apice della loro vita entrando in determinate organizzazioni”.
Dieci anni prima, nel 1983, viene ideato e poi realizzato l’assassinio del giudice Rocco Chinnici. Chinnici era stato il primo a scoprire gli intrecci perversi tra potere finanziario, rappresentato in Sicilia dagli esattori Salvo, e Cosa Nostra. Con una tecnica degna di Beirut, un’autobomba viene fatta esplodere davanti l’abitazione del giudice Chinnici riducendo in brandelli lo stesso giudice, il portiere dello stabile e due carabinieri della scorta. Gli effetti giudiziari del lavoro di Chinnici non si fanno attendere: il 29 settembre 1984 con il blitz di San Michele vengono emessi centosettantasei ordini di arresto e finiscono in carcere gli intoccabili Vito Ciancimino e i cugini Nino e Ignazio Salvo.
Dopo la morte di Chinnici comincia l’era Falcone. Il magistrato convince Tommaso Buscetta, estradato in Italia dal Sudamerica, a collaborare, e così si aprono nuovi scenari sui rapporti tra mafia, finanza e politica. Le stragi di Capaci e di via D’Amelio innescano una forte controffensiva da parte dello Stato, che si concretizza nell’immediata cattura di Totò Riina. Segue un lungo periodo in cui la mafia, guidata da Provenzano, diventa silente. Questo sino al suo arresto dell’11 aprile 2006. ll dopo Provenzano è ancora oggi una nebulosa dai contorni indefiniti.
Pippo La Barba