IL TEATRO E’ IN CRISI, IN SICILIA UN DISASTRO
Di PIPPO LA BARBA
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Teatro Lelio a Palermo
E’ palpabile la crisi che investe questa antica espressione artistica e culturale di cui l’Italia vanta una radicata tradizione
Il teatro è una delle ultime forme comunitarie che sopravvivono in campo artistico, perché solo nel teatro esiste la modalità di spostarsi fisicamente anche da luoghi lontani dalle rappresentazioni per condividere con altri la fruizione degli spettacoli. Eppure la crisi che oggi lo investe, soprattutto in Italia, è palpabile.
Il decreto ministeriale 1 luglio 2014 ha provocato serie difficoltà, soprattutto ai teatri privati. L’attribuzione dei finanziamenti avviene infatti con un criterio più di quantità (numero di spettatori, repliche, attori e maestranze) che di qualità degli spettacoli.
In Italia in realtà le esperienze teatrali abbondano, quello che manca è la ricerca di prodotti innovativi e originali. Non viene minimamente incentivata la sperimentazione, né la valorizzazione dei giovani. Si inseguono i soliti noti, meglio se presi in prestito dalla televisione; e poi permane la vecchia consuetudine dei maggiori teatri pubblici nazionali di scambiarsi le produzioni in una stucchevole partita di giro che blocca il ricambio.
Con la nuova normativa si è ulteriormente ristretto, rispetto ai vecchi stabili, il numero dei teatri di rilevanza nazionale, portandoli a sei/sette, con criteri di valutazione inadeguati. La creatività di autori e registi e le performance degli attori non sono a comando: a produzioni di alto livello si alternano altre scadenti. Per questo il criterio di assegnare i finanziamenti con modalità contabili anzicchè in base alla valutazione delle singole opere appare del tutto inadeguato.
Un altro problema serio è quello della formazione di attori, registi, scenografi, maestranze e così via. Nelle scuole il teatro è snobbato, c’è solo qualche sporadica esperienza non curriculare. Le cosiddette “scuole” che operano in ambito teatrale hanno la pretesa di chiamarsi scuole; in realtà sono dei laboratori sperimentali il più delle volte autoreferenziali, messi su per ottenere contributi e prebende. La verità è che i teatri pubblici sono diventati strutture burocratizzate non in grado di fare adeguatamente formazione, come sarebbe un loro compito istituzionale, atteso che svolgono un servizio pubblico. In Italia la maggior parte degli attori si forma nei teatri privati, e, una volta formati, vengono cooptati in quelli pubblici. Tutto questo da noi purtroppo è fisiologico, e le politiche culturali ministeriali non fanno nulla per ridurre il gap tra pubblico e privato in fatto di assegnazione di risorse.
Nel 2014 la nascita dei teatri nazionali aveva lo scopo dichiarato di aumentare il numero di persone che frequentano normalmente i teatri. Ma per realizzare questo bisogna rendere i teatri pubblici competitivi e aprire ai nuovi linguaggi della drammaturgia contemporanea, rischiando magari di perdere una parte degli spettatori tradizionali. Ma c’è tutta una fascia di giovani e di persone che non hanno avuto mai dimestichezza con il teatro che andrebbe attratta sia con incentivi economici che con scelte artistiche innovative. Questo il quadro nazionale.
Nella nostra regione la situazione è disastrosa. La Sicilia, unica regione d’Italia ad avere sino al 2014 due teatri stabili, uno a Palermo l’altro a Catania, è già fuori dal circuito dei teatri nazionali per il primo triennio (2015/2017) e lo sarà quasi certamente per il triennio successivo (2018/2020). Questo comporta un declassamento dei due stabili a “teatri di rilevante interesse culturale” (TRIC), con la perdita di circa il 20% di finanziamento. “La politica culturale della Regione in campo teatrale – afferma Enzo Pandolfo, direttore del Teatro Lelio di Palermo, da quando il Presidente della Regione Lombardo ebbe la felice idea di trasferire le competenze sui teatri dall’Assessorato ai Beni Culturali a quello per il Turismo, è stata un disastro. Da allora le assegnazioni dei contributi sono effettuate per il 50% dagli uffici in base al bilancio dei singoli teatri: chi ha speso di più ottiene di più”. “Questo – conclude Pandolfo – non è un criterio che può andar bene in campo teatrale, dove deve essere privilegiato l’aspetto culturale. E’ invece un’ottica tipica del turismo puntare sul numero e promuovere i grandi eventi, che hanno una ricaduta economica. Nel teatro il criterio di valutazione deve essere esclusivamente quello del valore artistico delle produzioni”. Il grido di dolore di Enzo Pandolfo è fatto proprio dalla maggior parte dei teatri privati siciliani, che lamentano un’ arbitraria interpretazione della legge regionale n.25 del 2007. A Palermo se n’è fatta interprete la FederTeatri. Una nefasta circolare del 2009, tuttora vigente, emanata dall’Assessore Regionale per il Turismo facendo riferimento all’articolo 6, comma 6 della legge 25 (che fissa i criteri generali per la classificazione delle tipologie di teatro), stabilisce che l’Amministrazione provvede a ripartire la somma annualmente messa in bilancio secondo questi criteri: 1. Al 50% sulla base del piano analitico della spesa proposta dall’associazione; 2. Al 50% sulla base di indicatori che determinano un punteggio. Di conseguenza nel primo caso il finanziamento è legato solo al costo sostenuto per le produzioni; nel secondo sono gli stessi uffici a calcolare in maniera discrezionale il punteggio, senza potersi avvalere del parere di un Commissione tecnico-scientifica. Infatti questa non si è mai formata, poiché la stessa circolare stabilisce che gli esperti preposti alla valutazione debbono farlo a “titolo gratuito”.
Pippo La Barba