SALVATORE ABBRUSCATO -Recensione a GRAMIGNA di Sandra Guddo

Questo libro è una raccolta di 17 storie di gente della Sicilia, gente del popolo, di contadini, artigiani, carrettieri, e di esercenti altri mestieri, che appartengono a quella categoria definita dei vinti, di quelli cioè che sono sottomessi agli altri e debbono lottare per conquistarsi la libertà e il benessere economico. Trovo una leggerissima somiglianza con le storie raccontate dal Verga, anch’esse storie di povera gente; ma mentre nel Verga domina il pessimismo e quasi tutte le sue storie hanno una fine drammatica, in Gramigna in alcune storie il primitivo, l’uomo del popolo ha la forza di ribellarsi al suo destino e di lottare per affermare la sua volontà di emergere e il suo diritto.

Un esempio di questa volontà imperiosa, di questo attaccamento alla terra natia e del rifiuto netto di andare via per Paesi sconosciuti, lo troviamo nel racconto “ U carritteri” che , dopo avere accarezzato l’idea di andare in Belgio dove il suo amico gli aveva trovato il lavoro, alla fine decide di rimanere in Sicilia, attratto dalle sue bellezze che non aveva mai notato nonostante facesse da anni quella strada; la scrittrice così descrive questo mutato stato d’animo del nostro personaggio: La bellezza folgorante del paesaggio che si distendeva davanti ai suoi occhi, lo aveva stupito. Eppure, tante altre volte aveva fatto quella strada per consegnare la merce che gli era stata affidata. Alfio era un carrettiere come lo era stato suo padre e suo nonno prima di lui”. Il carrettiere incantato dall’ammirazione delle bellezze che lo circondano, coglie un altro aspetto della sua terra che la scrittrice descrive con la sensibilità di un poeta, ” Non senti l’aria come profuma di ginestre? Non vedi il pennacchio sull’Etna che sembra salutarci con il suo cappello? Non vedi il mare luccicare là in fondo? Non senti che attorno a te c’è la vita: persino le pietre sembrano respirare”. Ma l’elencazione delle bellezze che lo attirano e lo spingono a rimanere continua così:” “Guarda il mio carretto, è pieno di leggenda e di storia. Hai osservato che ogni angolino è stato dipinto con arte? Hai notato che sono raccontate le storie dei paladini di Francia e quelle dei santi? Mio padre lo ha costruito in occasione della mia nascita: il primo figlio maschio sono e voleva per me il più bel carretto del paese!”

E’ chiaro che la scrittrice con questo racconto vuole esprimere una netta condanna dell’emigrazione, una piaga che ha colpito e continua a colpire la nostra Sicilia, ed esprime così metaforicamente una speranza.

Leggendo le storie di Gramigna è facile rendersi conto della sapiente mescolanza di motivi vari, tessuti col preciso intento di non tradire l’isola, d’offrirne una immagine veritiera e una presentazione viva e universale, valida per tutti; la scrittrice vuole anche interpretare davvero in ogni forma, in ogni riga la Sicilia, il suo cuore, la sua essenza, il suo vero essere, la sua storia, di coglierne l’anima. Debbo dire che è riuscita pienamente in questo obiettivo, di costruire la grande storia attraverso le piccole storie di uomini e donne.

Nel racconto “ Somari si nasce non si diventa”, titolo che appare scherzoso ma che nasconde una profonda verità, dove il protagonista Pepè fa l’apologia della sua asina Angelica, e dei suoi undici muli carichi di alimenti per i soldati, e dove è sottinteso l’enorme errore di un generale che causò la disfatta e strage di Caporetto, leggiamo una descrizione dell’orrore della grande guerra, dello stato d’animo dei soldati che hanno paura ma che si fanno coraggio , e nella descrizione della morte di un soldato vediamo la tragica condizione di tutti i soldati di ogni guerra :” Marco Sinagra era stato ammazzato senza neanche combattere, senza sparare un colpo. Sfinito dalla fame e dal freddo, tormentato dalle pulci, stordito dal fetore di quella specie di fogna a cielo aperto dove era costretto a rimanere, sonnecchiava come tanti altri soldati in quella lurida trincea, ammorbata dal fango e dagli acquitrini da cui non si spostava da settimane, in attesa di combattere o di morire. Un’attesa interminabile che aveva logorato i nervi, che aveva annullato la volontà, che aveva reso gli uomini apatici e insofferenti”.

I racconti sono inseriti in precisi contesti storici, ne fanno parte e sono intimamente ad essi legati, non solo, ma i vari personaggi discutono e parlano dei problemi del tempo, della economia, del loro stato, del loro futuro, dei loro progetti, e anche di politica , e ciò conferisce al racconto una forza realistica, tale da non fare sorgere nel lettore la tentazione di considerarla soltanto frutto di mera immaginazione.

Alcune narrazioni sono legate ai fasci dei lavoratori e ai tentativi di rivendicazione dei diritti, altre descrivono le condizioni dei lavoratori delle miniere, il loro sfruttamento, e qui non mancano cenni alla repressione feroce e sanguinaria dei fasci dei lavoratori ordinata da Francesco Crispi, un figlio della Sicilia, nativo di Ribera, un garibaldino, allora capo del governo.

Altri racconti ci riportano nel mondo degli Emiri, degli harem, dello sfruttamento delle donne, con delle magnifiche descrizioni, direi di una bellezza poetica, dei luoghi dell’antica Palermo che ce la fanno conoscere ancora di più:” L’Emiro, come un pavone impettito, dentro le sue colorate vesti di seta leggera, con vistose bordature in oro zecchino, passeggiava sull’ampio terrazzo del suo palazzo. Il paesaggio che si godeva da quell’altura era da mozzafiato: si controllava l’intera Conca d’oro. Le montagne che chiudono la città da Monte Pellegrino a capo Zafferano erano tutte lì che sembrano toccarsi regalando al nuovo potente padrone la sensazione assai gratificante che si sarebbero potute tenerle dentro un pugno quelle belle vette! I soldati scelti per stare lassù, con gli occhi di lince, potevano controllare il traffico sui passi che consentivano l’ingresso in città senza bisogno di sistemi di segnalazione.

Al tempo degli arabi la città era chiusa dentro il perimetro delle mura urbane che scendevano dal Kasr lungo il fiume Kemonia, costeggiavano il promontorio dove sarebbe sorta San Cataldo e, dopo avere toccato Bab al Bahr, la porta che dava nello spiazzo a mare della Vucciria, risalivano la montagnola del Kes, costeggiavano il Papireto e la depressione dei Danisinni per ricongiungersi alle mura del Kasr.

In questo spazio, che certo non era grande, sorgevano trecento moschee. Trecento! grandi, pompose e piccole, quasi familiari.”

Altra narrazione, denominata ” Un’intrusa in casa Florio”, ci riporta nel mondo affascinante, ricco dei Florio, dove si impone ed emerge per bellezza, intelligenza, ardire, coraggio una donna, che vuole emergere, farsi notare, conquistare la società con la sua bella persona e il suo talento, una donna audace, ambiziosa, da considerare una vincitrice e non una vinta, pur essendo soltanto la figlia di un modesto contabile e di una cameriera.

Qui la scrittrice ci fa entrare nel bel mondo della “Belle Époque” di Palermo, con una notevole descrizione della sala di ricevimento, degli ospiti e dell’abbigliamento di donna Franca Florio:” Donna Franca Florio esibisce, con disinvoltura, un abito color bordeaux reso cangiante dalla sovrapposizione del tessuto posizionato di sbieco, impreziosito da un lungo filo di perle lasciato scivolare oltre i seni generosamente messi in mostra dalla profonda scollatura. La collana è lunghissima come non ne ho mai viste in vita mia: si racconta che Don Ignazio l’abbia regalata alla moglie per farsi perdonare le sue numerose scappatelle e che ogni perla corrisponda ad un tradimento. Io non credo a questa versione: sono propensa a credere che sia un atto d’amore verso la moglie che, come si racconta in giro, gli è sempre rimasta fedele. Neanche a quello sciupafemmine di poeta, con il nome di un angelo Donna Franca ha ceduto!”

Continuando a leggere immediatamente sentiamo di essere già dentro la sala, come ospiti anche noi:” Donna Franca, a quel punto, ordina ai suoi servitori in livrea di servire, su ampi vassoi d’argento, ogni sorta di prelibatezze, mentre i calici vengono continuamente riempiti per soddisfare il palato degli ospiti con spumanti e con vini leggeri di produzione “Florio” tra cui primeggia il marsala vergine, meglio se invecchiato e di colore oro.

Suscita una gradevole impressione il racconto dedicato al paese Corleone, da tempo considerato come il covo della mafia, un luogo perduto, dove viveva un popolo terrorizzato e sottomesso; ma il racconto lo riabilita, ne mette in evidenza le bellezze non solo materiali dei luoghi, della chiesa madre, della cascata, ma anche mette in evidenza il carattere gentile, cordiale, onesto, allegro della gente che vi abita; bellissima è l’usanza dei danesi di celebrare il loro Matrimonio a Corleone.

Mi piace porre l’attenzione della mia relazione anche sul racconto ” La mia vita come una canzone che presenta un sapore romantico per il modo di ragionare del protagonista “ Totuccio” figlio di padre ignoto, che ama la musica, richiama alla nostra memoria il cantante Lucio Battisti, e la canzone di Lucio Dalla “ 4 marzo 1943”, nella quale egli si riconosce, perché pensa che sua madre fu fecondata da un soldato americano venuto in Sicilia durante lo sbarco; ma la cosa che mi preme sottolineare è la sua curiosità di sapere cosa fosse la storia, e così amava ricordare la descrizione che ne faceva il suo professore di ginnasio Lentini, che poi non è altro che il pensiero stesso della scrittrice messo in bocca ad un suo personaggio: “Se pensate che la storia sia opera solo di grandi personaggi come Carlo Magno o Napoleone, vi sbagliate! Se pensate che la storia sia qualcosa che ci passa accanto senza sfiorarci, qualcosa che si studia sui libri e non ci appartenga, vi sbagliate ancora di più. La storia siamo noi! Siamo noi gli attori principali o magari secondari, addirittura semplici comparse: possiamo avere un ruolo da protagonisti o un ruolo secondario ma, in ogni caso, ci siamo dentro fino al collo! La storia è l’insieme di eventi anche minori ed è fatta da persone normali come noi. Ma che ne potete capire voi caproni, siete una massa di caproni!”

Le storie raccontate spaziano in un esteso arco temporale, che va dal tempo di Federico II fino alla Seconda guerra mondiale.

Collocata nel secolo tredicesimo leggiamo un racconto assai singolare “ Sesso, zafferano e..” che si sviluppa in un dialogo tra Pier Delle Vigne e l’imperatore Federico II, lo stupor mundi, a proposito della ricerca di un farmaco utile per la guarigione di una donna passionalmente legata all’imperatore. Il racconto si apre con una pregevole descrizione della Palermo di quel tempo, una città multietnica, ricca e piena di commercio, dove convivevano arabi, greci, ebrei, latini, italiani, siciliani: “Le vie di Palermo, tra il XII e XIII secolo, brulicavano di genti di varie etnie e non era raro vedere un cristiano salutare per primo un musulmano. A Palermo, città favolosa, cosmopolita, incantatrice, l’incubo della fine del mondo, della penitenza predicata da monaci asceti era lontana come dalla terra la luna. Una vera metropoli dove popoli e religioni si erano fusi in armonioso equilibrio. Traffici, trasporti, eserciti che si spostavano in ogni angolo dell’isola, nobili che se ne andavano in villeggiatura da un castello all’altro.” Tra Federico e il protonotaro e segretario Pier Delle Vigne si svolge un interessante dialogo a proposito della condanna delle donne adultere, punite col taglio del naso, una pratica orrenda che a parere del protonotaro doveva essere abolita; questo dialogo però non si conclude con una decisione, ma offre alla scrittrice la occasione per sviluppare un discorso attorno all’amore gentile come viene cantato dai poeti della scuola siciliana, di cui lo stesso imperatore fa parte. E’ Pier Delle Vigne che sviluppa tale discorso “Tra le prelibatezze che ho apprezzato ieri a cena, e non parlo soltanto di cibo, mi hanno colpito le dissertazioni di Jacopo da Lentini. Nei suoi sonetti egli canta l’amore per la donna, piena di virtù e di dignità, senza la quale neanche il Paradiso, in sua assenza, sarebbe tale. Ciullo d’Alcamo paragona la donna a una rosa fresca e aulentissima. Ma nei fatti le nostre leggi non si prendono cura delle donne: al contrario!”.

In sostanza la scrittrice, attraverso questi dialoghi che immagina, non solo ci fa conoscere per cenni quali erano le tematiche dei poeti di quella scuola, ma in realtà tratta dei temi storici, di argomenti di politica e giuridici, così come erano pensati dall’imperatore e dai suoi sudditi. E nel suo discorso il protonotaro parla della esigenza di instaurare una eguaglianza tra donne e uomini difronte alla legge, soprattutto nei rapporti coniugali, lamentandosi del fatto che l’adulterio delle donne era punito mentre quello degli uomini n lo era, anzi era esaltato, anticipando così di sei secoli le nostre norme giuridiche e il nostro modo di pensare. Ecco l’audace pensiero di Pier Delle Vigne:”È vero, ma non possiamo trascurare che Jacopo ha parlato anche di dignità naturale della donna: Dignitas sexus! In poche parole, tutto gira attorno alla questione se la donna sia pari o inferiore all’uomo, se abbia soltanto un’anima vegetativa quale ce l’hanno gli animali o se possegga come noi uomini un’anima capace di provare e suscitare sentimenti!”

Io non so se questi discorsi fossero realmente avvenuti o fossero frutto della immaginazione della scrittrice. Comunque possiamo ritenere che facevano parte della cultura degli studiosi del tempo, argomenti di cui si parlava e che la scrittrice, con una genialità, ha messo in bocca ai due grandi rappresentanti del potere e della cultura del tempo: l’imperatore Federico e il suo segretario. Un altro aspetto gradevole di questo racconto è la esatta descrizione della personalità dell’imperatore Federico, così come ce lo descrivono tutti gli storici che si sono occupati di lui.

Le donne , non tutte, ma un buon numero, sono descritte mettendo in evidenza il loro carattere fiero, la loro tenacia, il loro attaccamento alla famiglia, la ferrea volontà di vincere le resistenze esterne e i soprusi, come Marietta rimasta vedova con una figlia da allevare, e come Filomena che difende il marito e non ha paura di gridare e protestare nell’aula giudiziaria mentre il cancelliere invaghito la guarda con cupidigia; di questa donna del popolo con felici pennellate la scrittrice descrive la bellezza dandoci la sensazione di vedere una donna che esce dalla tela di un grande artista per essere ammirata. “Filomena opponeva resistenza continuando a gridare l’innocenza del marito. Ad un tratto i suoi lunghi capelli neri, acconciati in un severo chignon, si liberarono dalle forcine che li trattenevano lasciando che ondeggiassero, come uno scialle di seta, sulle esili spalle e sui morbidi seni mentre i suoi occhi di smeraldo lampeggiavano di rabbia e di sdegno”.

Maria è una donna che sa parlare di politica, sa dare consigli e proporre azioni per affermare i loro diritti “Maria, la compaesana che più di tutte aveva un forte carisma, propose di organizzare la defezione in massa alla processione del Corpus Domini in risposta al comportamento di alcuni preti che avevano provato a terrorizzare le donne minacciandole di scomunica per avere aderito al Fascio.( Da Suli a Suli,pag 51)

Le descrizioni del paesaggio sono poetiche, di una serena bellezza; ecco cosa vede mamma Sarina uscita dal fascio per rientrare a casaAppena uscita dal paese un vento leggero le accarezzò il volto come a voler spazzare le sue incertezze: respirò a pieni polmoni l’aria frizzante, volse lo sguardo intorno e si soffermò ad ammirare il paesaggio. Intorno a lei esplodeva la bellezza del panorama con le enormi distese di verde dalle infinite tonalità che si arrampicavano sull’imponente Pizzuta e si rispecchiavano sull’ampio lago dove il sole stendeva i suoi raggi come un amante voglioso.” ( racconto “ DA Suli a Suli”, pag 49)

Il paesaggio spesso, come nel Manzoni, rappresenta lo stato d’animo del personaggio, è lo specchio dell’anima, la sua voce, e qui è un amico che dà sollievo all’anima di mamma Sarina tormentata da gravi pensieri.

Nel racconto “Arrivanu i Miricani”, viene descritto in modo minuzioso il pensiero della gente attraverso un dialogo tra due popolani, Carmelo e Pinuzzu; qui sta la strategia della scrittrice, per così dire, e cioè la realtà storica, gli avvenimenti, le considerazioni, le critiche, vengono espresse dalle persone, quasi in rappresentanza di tutti i cittadini, e questo metodo narrativo conferisce maggiore vitalità al racconto. Lì leggiamo cosa avvenne subito dopo lo sbarco degli alleati, ma la cosa più avvincente, è la descrizione del pensiero della gente, che possiamo considerare come il pensiero della storia; si parla della oppressione del regime fascista, della mafia che avrebbe appoggiato gli americani agevolando il loro sbarco, facendo il nome di Calogero Vizzini, delle lotte dei contadini e minatori denominate “ fasci siciliani”, e si apre il cuore alla speranza di un avvenire migliore fatto di libertà e di benessere per merito degli Americani. La scrittrice non tralascia di dedicare delle pennellate per dipingere la bellezza di Rosina, che brilla in armonia con la bellezza del paesaggio siciliano che la circonda:” In fiore lo era invece Rosina, la giovane figlia di Pinuzzu, una bella carusa dalla pelle profumata e vellutata come i piccoli fiori che crescono in primavera sui rami dei mandorli”. E mentre la gente attende ansiosa l’arrivo “ di li Miricani” scende la sera dolcemente quasi a cullare l’attesa dei liberatori:” mentre le prime ombre della sera si allungavano sulla via principale della cittadina arroccata su un pendio che si apriva su una vallata di mandorleti non più in fiore”.

Non starò qui a riassumere le varie storie, ma a coglierne le caratteristiche e il loro fascino. La lettura delle diciassette narrazioni, di cui si compone la raccolta, ci dà una ampia opportunità di leggere la storia della nostra Sicilia, i suoi costumi, la vita della gente del popolo, le lotte politiche, le sopraffazioni del potere, le sofferenze dei sottomessi, la vita nei campi e nelle miniere, e per questo tutte le storie ci sembrano familiari, vicine a noi che siamo figli di questa terra e come tali sentiamo che il passato ci appartiene, è una componente inscindibile del nostro sentire e della nostra cultura.

La lettura è agevole, bella, gradevole, affascinante, non ci sono ampollosità o inutile retorica, domina la essenzialità di una parola colta e piena di luce, e le descrizioni dei paesaggi, dello stato d’animo dei protagonisti, delle varie vicende umane, sono ampie, chiare, incisive, precise, poetiche, tali da darci la sensazione di vedere scorrere , come in un film, le scene, i personaggi, le azioni come fossero dipinti di grandi pittori, commentati da una esperta mente, ottima conoscitrice di storia, letteratura e poesia; ma vi è un’altra caratteristica del suo metodo narrativo, l’inserimento di molte parole siciliane, e anche di proverbi che sono la testimonianza della semplice sapienza popolare e rendono il racconto più vivo, come una voce che sorge dal profondo dell’anima siciliana.

Grazie cara Sandra per questa tua bella opera letteraria.

Palermo 24 marzo 2023. Salvatore Abbruscato