Salvatore Tamborini

CICIRI RACCONTI DI TERRA DI SICILIA

di Sandra  Guddo

Avete mai sentito parlare di scrittura a colori? Non sto parlando della grammatica utopica di Roland Barthes, ma di colori veri e propri, di odori, suoni, sensazioni, immagini forti, sapori.
E’ quanto mi è successo con i “ciciri”, vale a dire i ceci di Sandra Guddo. E mi è rimasto un dubbio che mi porterò dietro fino alla fine della recensione. I colori sono dovuti alla sua penna oppure all’oggetto del suo scrivere? Che poi in realtà è un soggetto, in quanto c’è una sola ed unica protagonista in questa storia, divisa in quattordici racconti, quella che Quasimodo definì in una sua poesia “la terra impareggiabile”, vale a dire la Sicilia.
Quindi noi partiamo da qui e siamo destinati a ritornare qui, in un viaggio nel tempo e nello spazio che ci porterà dai Vespri siciliani alla fine del ‘200 fino ai nostri giorni, poi ci lascerà guardare in diverse finestre dell’Ottocento per riportarci in un baleno all’attualità. Una giostra che non penso sia causale, ma voluta nell’ambizioso tentativo di rivedere la Storia da una prospettiva laterale e magari confrontarla con le contraddizioni di oggi. E’ un tentativo riuscito? La risposta come sempre la daranno i giudici più implacabili, vale a dire i lettori.
Ho avuto modo, in un passato recentissimo, di recarmi ancora una volta, sul set di questi racconti per cui credo di averli “respirati” con una maggior cognizione di causa. Ho avuto anche modo di conoscere, seppur in modo fugace, l ‘autrice. Quanto basta credo per averne colto l’intento. Credo che questo libro sia destinato a un pubblico quanto più allargato, ma che possa essere diretto soprattutto ai giovani perché è lì che si gioca il futuro ed il ruolo della memoria storica è fondamentale. Se non avessi saputo che l’autrice è stata un’insegnante forse l’avrei scambiata per una giornalista. Perché in un certo senso, trovo forte l’impegno didattico o il tentativo di fornire una mole impressionante di informazioni. Il tutto mischiando la realtà storica con la fantasia portando gli eventi importanti che abbiamo studiato sui libri ad una dimensione vorrei dire più “umana”, vista dalla prospettiva della gente semplice, qualcosa che avrebbe fatto la felicità degli annalisti francesi. In questo mi sono sentito accomunato a Sandra perché in passato un’operazione del genere è toccata anche a me in un altro contesto. Perciò so quanto difficile sia sposare lo stile con la necessità di spiegare e raccontare fatti, usi, costumi (in questo caso parliamo anche di ricette culinarie), il tutto a discapito della fluidità del racconto. Problemi nei confronti dei quali il libro passa sopra accettando il rischio della “semplicità” a fronte di un risultato superiore. Per questo credo siano stati inseriti anche alcuni racconti che poco hanno a che fare con i fatto storici, ma penso con lo scopo di dare una leggerezza al tutto. E in questo modo alla fine si riesce a ricostruire e a capire l’architettura che la Guddo ha voluto imprimere alla sua fatica.

Ma, visto che l’autrice ci ha invitato su una giostra temporale ricominciamo dall’inizio e dal titolo. “Ciciri” non sono altro che i ceci, ma nel contesto storico in cui sono situati, il 1282, sono la parola d’ordine che può fare scoprire le spie angioine anche se sono travestite da veri siciliani. I francesi infatti hanno una esse strascicata difficile da mascherare e questo fu lo spartiacque per scoprirne l’origine. In mezzo a tutto questo una storia d’amore ci sta come il cacio sui maccheroni o come “u pitirri”, il piatto che ha come base la farina di ceci.
E’ soltanto la prima portata di un pranzo molto abbondante che vedrà come commensali un climatologo che in un congresso nell’algida Danimarca vorrà per la prima volta tenere una conferenza in lingua siciliana. Oppure un brigante che la propaganda sabauda mostra come il peggiore dei criminali ed in realtà non è altro che una rivisitazione di un Robin Hood ad un’altra latitudine. O ancora la storia di un anello che attraversa due volte l’Oceano per poi tornare a casa, o i garibaldini “liberatori” secondo una chiave di lettura o capaci delle peggiori nefandezze secondo un’altra visione. Personaggi minori, come Angela Romano, una bambina, la cui innocenza non basterà a salvarla da un’accusa inesistente, o conosciuti come Ippolito Nievo, la cui fine, a bordo del piroscafo Ercole, ancora oggi è avvolta in un profondo mistero.
Un esperimento letterario, così qualcuno ha definito questo libro. Un esperimento che però non è scevro da rischi. Il principale è che ci si trovi davanti ad un primo passo per raccontare qualcosa di difficile e complicato. Nel senso che c’è la concreta possibilità che il lettore, ancora affamato e bulimico, pretenda qualche altro piatto, non si limiti ad accontentarsi ma chieda di più. La Sicilia racchiude tremila anni di storia e di storie.
Perché ad esempio, non andare a scovare qualcosa che riguardi la setta dei Beati Paoli? Oppure qualcosa che riguardi la costruzione del teatro Massimo o del Politeama? O, andando ancora più indietro, entrare in qualche meandro della Cappella Palatina o finire addirittura a Segesta? E’ una bella sfida quella che si può lanciare e che spero venga raccolta. Il materiale non manca e di certo c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Ah, dimenticavo. Il dubbio sulla scrittura colorata che ci siamo portati dietro. Leggete il libro e quando sarete alla fine, avvolti da colori e sapori, vi accorgerete che in realtà forse si tratta soltanto di una domanda retorica o di un semplice dettaglio.

 Pierluigi Tamborini