
MYRIAM DE LUCA
ESORTAZIONI SOLITARIE
a cura di Sandra Guddo
Sia che scriva in versi che in prosa, Myriam De Luca riesce sempre ad emozionarmi e, a tratti, a commuovermi.
Tutto quello che Ella esprime nella presente raccolta, come nel suo romanzo” Via Paganini,7”, arriva diritto al cuore; prende e sorprende la spontaneità e la lucidità con cui riesce a scavare nella realtà in cui si trova ad agire, qualche volta anche a subire, ma sempre pronta a re-agire alle sue paure e alle sue fragilità, decisa a non soccombere, a non farsi inghiottire nel buco nero del “vacante vuoto” dell’esistente.
Lo si comprende subito, tenendo in mano il volumetto dal titolo “Esortazioni Solitarie” dalla splendida copertina, opera dell’artista Cinzia Romano La Duca. Una fanciulla, ritratta di spalle intenta ad ammirare il sole che tramonta sul mare che tinge di rosso le sue acque tranquille, sembra fondersi e confondersi in un abbraccio panico con la natura che la circonda, nel silenzio di una spiaggia solitaria. Soltanto nel silenzio, infatti, è possibile recuperare parole speciali che splendono della luce della verità “verità che non sono assolute ma danno concretezza alla mia anima”.
La scrittura poetica di Myriam De Luca, a nostro avviso ha saputo restituire alla poesia il suo valore originario che è, secondo Mario Luzi,” insieme denuncia e annuncio, in quanto anticipa quello che è già nell’amarezza e nella malattia dell’uomo contemporaneo”. Ella riesce ad esprimere con efficacia tutto il malessere dell’uomo contemporaneo, attraverso metafore incisive che ruotano attorno al concetto di vuoto. In tal modo l’opprimente senso di solitudine che lo attanaglia, viene reso dall’immagine di “bicchieri vuoti nel lavello/ lo stillicidio i una goccia che cade/ scandisce un tempo fermo/”. Il mal du siècle che, se prima poteva trovare giustificazione negli orrori delle guerre e delle dittature, oggi si identifica con la fragilità dei sentimenti che si consumano e bruciano in fretta sia all’interno dei rapporti di coppia che in quelli generazionali e genitoriali. Nulla è scontato, nulla dà garanzia di affidabilità; tutto scivola via, o, per usare un’espressione di Zygmunt Bauman, tutto è liquido ed effimero. Persino il tempo sembra non avere più memoria del passato né aspettative per il futuro” senza passato e senza futuro/ il presente tiene in piedi la mia vita”.
Esiste soltanto il presente che sorregge le nostre vite con un’impalcatura di vetro che potrebbe infrangersi da un momento all’altro, mentre ogni cosa sembra aver perso la propria naturale dimensione “Piovono pesci dall’alto/ e dal mare volano uccelli/ canoni inversi di una terra malata”.
Le due parole del titolo “Esortazioni solitarie” confermano tale chiave di lettura delle liriche dove è evidente l’impegno della poetessa nei confronti di scottanti problematiche contemporanee che Ella denuncia con pacata e convincente trattazione poetica, mai urlata o sbandierata, seguendo le mode del momento o salendo sulla giostra dei giocolieri di parole che si compiacciono del vacuo e dell’effimero o, peggio, del nulla che sta dietro i loro versi.
In tal modo, la poetessa si pone davanti al sacrifico del giudice Falcone in modo critico, privo di inutile retorica, non permettendo che la sua morte venga liquidata, sic et sempliciter, come un fatto di mafia locale feroce e spietata, ma indica un complotto ben orchestrato le cui responsabilità vanno individuate altrove “tra tonache porpora, abiti gessati e mocassini di alto pregio”. La politica non è vicina alla gente, non rassicura e l’autrice ne è consapevole “mastico la paura di un futuro incerto … l’utopia serve a camminare”.
Ma che cos’è per Myriam l’utopia?
Non è certamente la fuga verso una realtà fittizia e illusoria, semmai è la poesia che sgorga in lei come un fiume in piena, un bisogno irrefrenabile che ruggisce dentro il suo petto e diventa esortazione solitaria. “Esortazioni dell’anima che avvengono nel silenzio, quando si riesce a mettersi in contatto con sé stessi. Percepire la felicità, l’amarezza, la tristezza del nostro sentire entrando in quello spazio interno che la solitudine può aprire”. E’ il sogno che aspira a diventare realtà, è perdersi nella contemplazione della natura, del cielo stellato in una notte senza nuvole, è musica, è la gioia di amare ed essere riamata con la medesima intensità!
La poesia di Myriam è ricca di bellezza oltre che di contenuti fondanti che Ella ha attinto dalla realtà politica e sociale contemporanea o da esperienze che non sempre si riferiscono direttamente alla sua vita privata, ma appartengono ad altri. La poetessa riesce a farli propri utilizzando lo stesso metodo che ha appreso quando faceva teatro e doveva interpretare ruoli in modo talmente convincente, come se stesse recitando sé stessa, indossando l’abito del suo vissuto personale: mi riferisco al metodo Stanislavskij.
E poi affiora lei: in tanti versi ho riconosciuto la sua indole di fanciulla innocente e indifesa che però sa essere, quando è necessario, una vera combattente, un’eroina che non si lascia trascinare dagli eventi ma se ne appropria tentando di cambiarne il corso. Myriam De Luca, senza ricorrere ad inganni afrodisiaci, non permette “al dolore di marcire dentro “ma, attraverso un’equilibrata re-azione, lo rielabora facendo in modo che divenga energia positiva, utile a sé stessa e a chi ha il privilegio di esserle accanto.
La sua poetica esplode in versi magistralmente orchestrati, spesso percorsi da un brivido di malinconia per quel che è stato e non è più: un tempo, masticato dal lavoro, che non lascia spazio alla passione di un amore travolgente finito all’improvviso. Adesso soltanto “Stanze vuote” “Felicità mai ballata”, “Vuoti di parole”, “Delfino tra le sbarre”, in cui la poetessa dà prova della sua abilità nel sapere utilizzare il linguaggio analogico, ricco di metafore originali e cariche di pathos. Così un amore finito può essere rappresentato da una “foto … in cui non mi riconosco” o dal fatto che” piovono rane dal tetto squarciato della nostra casa”.
E poi, tra una poesia e l’altra, come fiori improvvisi sopra un manto di neve, sbucano versi che cantano la Sicilia con i suoi odori e colori. Il profumo della Sataredda, timo selvatico che cresce nelle isole Egadi, il rumore delle onde del mare che diventa anima, la bellezza incontaminata dell’Isola che c’è, “tramonti di corallo/risvegli assolati che profumano/ di limone e gelsomino” il cielo stellato dove la poetessa insegue ed intreccia i suoi sogni, cogliendo a piene mani le stelle che guideranno il suo cammino.
La sua poesia diventa idillio quando parla della felicità piena ed assoluta che deriva dall’amore per il proprio uomo, in grado di soddisfare i sensi e di riempire ogni angolo dell’anima assetata di affetto. Quello stesso affetto che, da bambina, le è stato negato da una madre che “con un tocco umido sulla fronte/ mi baciava e andava via (…) sopra un cavalluccio bianco dondolavo la sua assenza”. Ella descrive in modo toccante ed originale il rapporto lacerato con i genitori che sa di non potere perdonare” i versi e la musica mi hanno fatto da padre e da madre (…) mentre chi mi ha messo al mondo/ mi lasciava nella solitudine di perché senza risposta”.
I versi liberi, espressi senza forzature e senza la ricerca ossessiva delle rime, sono un messaggio d’amore assoluto che avvicina Myriam De Luca, pur con le dovute differenze, a Elisabeth Barrett Browning. La grande poetessa inglese ma italiana di adozione, con convinzione, declama in una sua indimenticabile poesia” Se devi amarmi per null’altro sia, / se non che per amore/ Mai non dire/ l’amo per il sorriso, /per lo sguardo, / la gentilezza del parlare/”.
E sembra che si rivolga proprio alla nostra Myriam De Luca che crede si debba amare soltanto per amore!
Febbraio 2019 SANDRA V. GUDDO