Maria Antonietta Sansalone
“Sole dentro”
Edizioni Drepanum
Scheda di Francesca Luzzio
“Sole dentro” è il titolo della nuova silloge di Maria Antonietta Sansalone , un titolo emblematico perché attraverso un metaforico sintagma focalizza la vitalità interiore della poetessa , e tale sole vitale si chiama speranza, capacità reattiva alle sofferenze della vita, ai ricordi malinconici e tristi per ciò che è stato o avrebbe potuto essere e non è stato, ma si chiama anche poesia, esternazione verbale che placa l’anima, conducendola in catartica disposizione interiore verso sé e la realtà che la circonda.
L’opera, anche se non presenta una strutturazione interna, può dividersi in due parti: la prima a carattere più soggettiva ed esistenziale, la seconda a tematica sociale, come se l’io allargasse progressivamente i suoi orizzonti vitali e guardi anche l’oltre sé, l’oltre l’io.
La prima poesia della silloge è emblematica perché rivela il costante dialogo, direi meglio comunione per dare quasi un valore metafisico, della poetessa con la natura, divinità terrena, alla quale la poetessa consegna ricordi, sentimenti, emozioni, generando con essa un dialogo materno. Natura-madre, quindi, alla quale rivela le proprie emozioni il proprio sentire, generando una sorta di osmosi di dannunziana memoria (ad es. Sera fiesolana) e, a confermare tale unione panica è il ritrovare, il vedere nella stessa natura due occhi, gli occhi di lui, il suo sguardo che gli accende il sole dentro (Sole dentro, pag.13). Così da donna soggiogata che aveva imparato “a portare le catene”, come ruscello si fonde al fiume, alla sua voluttà e trova in lui, in quell’uomo che incontrò in quell’isola fatale, Ustica, la pienezza del sentire corporale, ma anche dell’esserci e perciò la ragione di vita (Seducente richiamo, pag. 15).
Molte delle poesie del testo trovano in lui, complice la natura, quale specchio dell’anima, l’oggetto-soggetto della trattazione. Oggetto-soggetto sì, perché egli non è solo la direzione verso cui tende l’io, ma il soggetto determinante l’agire di lei. E se egli è lontano immagina d’incontrarlo e solo quando scorge il suo inebriante sorriso riesce a schiudersi come bozzolo di farfalla (Silenzi d’aurora, pag.24).
E se la poetessa ritrova nell’osmosi panica con la natura l’essenza del suo vivere, non può non invitare lui a farne parte ad unirsi perché là, nella natura troveranno l’essenza del loro vivere insieme (Lasciati meravigliare, pag.26), ma anche il senso dell’amore, che M. Antonietta Sansalone oltreché nei confronti di lui, esplica altresì verso la poesia, luce e calore della sua vita.
Di conseguenza, pure la poesia è sole che lei, luna, riceve ed espande e nel riceverla le allevia, anzi elimina la sofferenza di amari ricordi, infatti la poesia è un guardarsi dentro per rivivere attraverso l’oggi l’ieri e quindi sul rettilineo della memoria, la poesia, dea arcana che la possiede, quale proustiana Madelaine, la induce a contrastare il tempo che penetra ”… con le sue radici\ nel compiuto passato” (Il tempo, pag.36) e a tornare indietro per affidare il dolce-amaro dei ricordi ai versi; così scioglie dalle radici temporali , il ricordo della madre, di cui ancora nel loro nido cerca piccole tracce , come sostiene nella lirica Percezione di te ( pag.44), oppure risente e rivive la sensualità travolgente di un piacevole tango argentino o ricorda lontane feste di Natale, descrive paesaggi nel volgersi delle stagioni e delle ore ed altri momenti vitali legati al passato, alla memoria che la poesia riveste di nuova vita.
Ma M. Antonietta non guarda solo in sé, nel suo passato e nel suo presente, la sua formazione culturale storico- filosofica la inducono a guardare anche l’oltre sé, a guardare il contesto sociale in cui viviamo, a guardare là, dove spesso alligna il male che per lei, come asserisce nel seguente pensiero che funge da premessa alla seconda parte, “non ha radici” ma “si configura nel tempo in orizzontale e a macchia di leopardo, come muschio , laddove trova terreno di coltura, in un determinato momento e per un tempo indefinibile”( pag.87), di conseguenza non può non rilevare e denunciare le complici indifferenze che stanno dietro la sorte di tanti poveri immigrati, la sorte di tanti bambini ebrei morti nei campi di concentramento nazisti, il culto del dio denaro che sparge morte, la mafia, la violenza sessuale sui minori, la morte in guerra,la condizione, al di là di ogni apparente emancipazione, servile e minoritaria della donna, etc…, insomma la poetessa M..A. Sansalone esterna in forma poetica la sua essenza e tale esternazione diventa ora denuncia del male , ora sublimazione di sofferenza ed amarezza, ora danza armonica di amore, sicché il lettore coinvolto nel suo poliedrico sentire è indotto anche lui ad assaporare quella catarsi dell’anima che solo la poesia riesce a generare.
La libera versificazione di Maria Antonietta Sansalone presenta un linguaggio semplice, chiaro, che persiste anche nell’utilizzo di tropi che arricchiscono la valenza semantica dei testi e tra questi sicuramente rilevante in alcune poesie è l’iterazione anaforica di versi all’inizio di ogni strofe.