Escursione di mercoledì 25/5/2022
a San Martino delle Scale
L’abbazia di San Martino delle Scale si trova a circa 10 km dal centro di Palermo e a 589 m sul livello del mare, nella valle tra Monte Cuccio e Monte Caputo.
Il primo monastero che oggi accoglie l’Abbazia ha origini antichissime: sembra che intorno al 570-580 sia stato fondato, anche se non esistono testimonianze attendibili, da papa Gregorio Magno che, essendo possidente di famiglia di numerosi territori, avrebbe fondato qui sei monasteri fra i quali quello di san Martino delle Scale.
Il Monastero inizialmente era destinato soltanto alle donne, ma a causa di diatribe varie sorte a causa del saltuario ingresso all’interno del monastero di un medico per la cura delle sorelle, papa Gregorio decise di trasferire le donne al monastero di Santa Maria della Speranza e assegnò la struttura all’Ordine di San Benedetto.
Il Monastero crebbe rigoglioso fino all’ 820 quando fu raso al suolo dai Saraceni ma fu ricostruito sia in epoca normanna sia in epoca medievale quando nel 1347 come si evince da un atto di fondazione, redatto dalla cancelleria dell’arcivescovo di Monreale Don Emanuele Spinola. la conduzione del monastero venne affidata ai monaci benedettini del monastero di San Nicola l’Arena di Nicolosi e alla reggenza dall’abate Angelo Senisio personaggio di spiccata importanza per la storia dell’Abbazia.
Dotato di grandi capacità gestionali e e organizzative oltre che spirituali il monaco adottò tutte quelle attività tipiche dei benedettini come la coltivazione di piante ed erbe per la cura di molte malattie e uno scriptorium per la riproduzione dei codici. Grazie al suo buon operato il feudo di San Martino, di pertinenza del vescovado monrealese, si arricchì di ingenti apprezzamenti di territorio come i feudi di Cinisi, Borgetto, Giardinello, Montelepre e Milocca (l’attuale Milena); inoltre Federico IV di Sicilia e anche il papa Gregorio XI intervennero per elargire e concedere prerogative che permisero alla diocesi di Monreale di arricchirsi ed allargarsi. Doveroso é anche ricordare in questa fase il monaco Giuliano Majali che fra l’altro arricchì l’abbazia con il manto regale di Re Alfonso del Bey di Tunisi e con le sante reliquie della Croce e della Spina del Cristo,
Per tutto questo e per le tante opere di beneficenza il monaco fu molto amato dai confratelli e dai fedeli dei vicini centri di Palermo e Monreale, Il suo corpo riposa sotto l’altare della Sacrestia, e da tempo immemorabile gli viene attribuito il titolo di beato anche se non ne ha ricevuto la proclamazione canonica.
Nel 1564 al 1595 la struttura subisce una rielaborazione delle strutture architettoniche. Nel periodo precedente purtroppo i nobili laici o ecclesiastici erano intervenuti sui monasteri privandoli delle rendite di cui vivevano per cui le vocazioni monastiche cominciavano a diminuire e ad entrare in crisi; ma il rinnovamento strutturale e l’ingresso del cenobio nella congregazione dei benedettini, diede una nuova spinta alla vita culturale dell’abbazia: adesso si praticava una vita comunitaria e non più solitaria.
Le produzioni e le commissioni artistiche, le attività editoriali, il collezionismo, l’insegnamento, la realizzazione di una biblioteca che attirò studiosi e ricercatori da ogni parte, fecero sì che l’Abbazia di San Martino diventasse in quel periodo tra il 500 e il 600 punto di riferimento civile ed ecclesiastico per l’intera comunità. Fu anche ingrandito il complesso architettonico, la cui progettazione fu affidata all’architetto Venanzio Marvuglia che nel 1775 realizzò anche il nuovo dormitorio.
Un altro declino colpì l’istituzione monacale nel 1866 con l’emanazione delle due leggi con le quali si ordinò la soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose e la confisca dei loro beni.
La lenta ripresa avvenne all’inizio del XX secolo grazie a D. Ercole Tedeschi, che assolse il suo impegno monastico e pastorale tra mille difficoltà e che lasciò il monastero in eredità ad un piccolo gruppo di monaci fra i quale Don Giovanni Messina conosciuto per il suo eccezionale impegno al Sant’Erasmo.
Molte le personalità di spicco che si spesero per il monastero in quel tempo come il beato Giuseppe Benedetto Dusmet, monaco di San Martino e proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1988, e come pure l’arcivescovo di Palermo il cardinale Michelangelo Celesia, che nel 1838 ottenne l’insegnamento di teologia e nominato maestro dei novizi. Molte altre personalità contribuirono a recuperare i vecchi fasti dell’Abbazia.
All’esterno oggi l’Abbazia di San Martino delle Scale copre un’area di circa 20.000 metri quadrati. Si compone della Basilica e del Monastero ma delle strutture realizzate nel 1347 dal Beato Angelo Senisio non rimane molto, esso è strutturato come un quadrilatero tagliato ortogonalmente da una croce di due corridoi, che lo divide in quattro quadranti.
All’Abbazia si accede entrando nella Basilica con una sola navata, transetto, cupola e 10 cappelle, che ospitano altrettanto altari in stile barocco: San Matteo, San Giovanni Battista ,I Sette Angeli, Santa Rosalia, Epifania, San Placido e Santa Scolastica, l’addolorata, i Santi Apostoli, San Domenico De Silos, San Nicola Di Bari.
La cupola poggia su 4 pilastri di marmo bianco dove sono posti altrettante statue, in pietra nera durissima detta “pietra di paragone” perché usata per confrontare le durezze delle altre pietre e che raffigurano San Benedetto, San Gregorio Magno, San Placido e San Mauro.
Nei due transetti le cappelle di San Benedetto e di San Martino sono arricchiti da due dipinti : uno che ritrae San Martino nell’atto di donare metà del suo mantello, la parte di sua proprietà, al pellegrino che poi sogna e che gli rivela di essere Gesù, e nell’altro dipinto si ritrae San Benedetto che distribuisce la Regola agli ordini monastici e cavallereschi e in cui è ritratto all’estrema destra lo stesso Pietro Novelli
Da notare sono il portale marmoreo trecentesco, ornato da formelle raffiguranti il Mistero Pasquale
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il coro ligneo ornato da 68 stalli in legno intagliato lungo 20 metri in cui ogni stallo ha una raffigurazione e una simbologia diversa. È stato realizzato tra il 1591 e il 1597 a Napoli dagli artisti napoletani Nunzio Ferraro e Giovanni Battista Vigliante a Napoli e trasportato a più riprese a San Martino a partire dal 1594 Successivamente, tra il 1726 e il 1728, la struttura venne accresciuta dai siciliani Nunzio di Paula e Pietro Marino. Le sei grandi tele sovrastanti gli stalli sono opera di Paolo de Matteis e sono databili al 1726;
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l’Ambone con il leggio girevole anch’esso intagliato come il coro che troneggia al centro del coro;
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l’organo cinquecentesco che, con le sue 4000 canne e col magnifico prospetto laccato in oro, é opera di Francesco La Grassa che nel secolo XIX lo portò a compimento, utilizzando in parte il preesistente strumento di Raffaele La Valle . Nel 1981 è stato restaurato ed elettrificato ed è tutt’ora usato per i canti gregoriani durante le liturgie.
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Sulle due pareti laterali del coro hanno la loro collocazione sei grandi tele, opera del pittore Paolo De Matteis realizzate tra 1726 e il 1727. Esse raffigurano: La cena di San Gregorio ai poveri, il Martirio dì San Placido, San Benedetto e il re Totila (parete di sinistra); San Benedetto e i Santi Mauro e Placido, San Mauro e il re Teodoberto, San Martino e il mendicante (parete di destra),
- Il crocifisso ligneo, sempre nella Basilica, é inserito in un affresco che raffigura la Vergine con i Santi Maddalena e Giovanni,
Nella Sacrestia si trova La Cappella delle reliquie che accoglie 4 corpi di Santi e 1253 reliquie tra cui reliquie della Santa Croce e della Sacra Spina
Uscendo dalla chiesa si accede ad un corridoio al termine del quale si trova il campanile e in basso la Fontana con complesso monumentale allegorico raffigurante il fiume Oreto, di Ignazio Marabitti in cui il fiume Oreto sgorga spontaneo dalle mani del Genio di Palermo e dopo avere attraversato tutte le avversità del suo percorso raggiunge il mare come la vita che con tutte le sue traversie porta provvidenzialmente verso la bellezza di Dio e l’eternità.
Nella facciata principale si apre il portone che immette nel vestibolo, una struttura coperta sostenuta da 16 colonne in marmo e statua in marmo bianco raffigurante san Martino di Tours nell’atto di dividere il suo mantello con un povero. Anche questa del Marabitti.
Notevole sono la doppia rampa di scalinata, purtroppo non fruibile, che porta alla sala Capitolare ai saloni destinati ai monaci fra i quali il refettorio sulla cui volta ben conservato é l’affresco che ritrae “Daniele nella Fossa dei Leoni” di Pietro Novelli: Daniele si trovava ingiustamente condannato a giacere nella fossa dei leoni, ma questi ultimi non lo avevano neppure sfiorato. In un’altra regione dell’affresco il profeta Abacuc riceve dal Signore l’invito a prendersi cura del povero Daniele e a portargli del cibo. Ecco allora la raffigurazione dell’angelo che prende per i capelli il vecchio profeta con le due ceste di pietanze per il giovane condannato. Il cibo é sempre presente nell’iconografia dei refettori per porre l’accento sull’importanza della Provvidenza divina nella vita quotidiana dei monaci che devono vivere del lavoro delle proprie mani: a chi confida in Dio non manca mai il necessario e il quadro “La cena di Gesù in casa Levi” collocato in una parete in fondo alla sala e che fu realizzato da Mariano Smiriglio e Filippo De Mercurio, nel 1605
Nel monastero originariamente erano presenti sei chiostri, ma il più conosciuto e ben conservato è il “Chiostro di san Benedetto” che fu inserito nel monastero da Giulio Lasso nel 1612 laddove sorgeva un chiostro più piccolo. Il chiostro rappresenta il punto di snodo dei locali di vita comune dei monaci
Al centro del chiostro si erge una fontana con la statua di San Benedetto, in pietra con testa e mani in marmo bianco e con a fianco due angeli che mostrano in due lapidi marmoree il programma benedettino.
Un secondo chiostro, detto Cortile dei Marmi è più grande ma meno famoso: al centro ospita una Fontana di Giovanni Biagio Amico.
In tutta l’Abbazia l’enorme patrimonio artistico anche se rimaneggiato svela fortemente l’esigenza dei monaci benedettini di inneggiare all’arte come catechesi, la catechesi che si avvale dell’arte come espressione della comunione di fede, come la comunicazione più immediata, diretta ed efficace dell’alleanza tra Dio e l’uomo.
Oggi la comunità consta di circa 13 monaci i quali soprattutto nel periodo estivo organizzano corsi di esercizi spirituali, meeting e conferenze di ordine teologico e biblico e attraverso la fondazione di un’Accademia delle Belle Arti, attualmente non attiva, organizzano concerti di musica classica e di canto gregoriano e mostre e convegni, e formano inoltre i giovani alla produzione artistica e alla tutela del patrimonio culturale. É presente un laboratorio di restauro del libro, e una biblioteca aperta al pubblico Da pochi anni è stata inoltre avviata un’attività di produzione di birra artigianale ed un negozio di articoli scelti.
Le foto sono state realizzate dei soci Diana Oretano, Joe Pirrotta, Rita Grimaldi e Rosario Sanguedolce
L’articolo è stato redatto da Diana Oretano