Visita alla Real Casa dei Matti

Escursione di mercoledì 16/03/2022 alla Real Casa dei Matti (Vignicella)

 

 

Una delle più avvincenti storie di follia, più volte ricordate da Sciascia ma anche da Camilleri, è quella della Real Casa dei Matti sorta a Palermo per volontà del barone Pietro Pisani, un uomo ispirato dai più nobili ideali di progresso. Uno spazio della memoria, in cui si racconta un’altra città.

Nel 1560 il priore dei Gesuiti acquistò un appezzamento di terreno chiamato “Vignicella” perché vi crescevano rigogliosi vitigni, per realizzare una casa di villeggiatura dove i suoi confratelli potessero trovare riparo dalla canicola dell’estate palermitana.


Dopo l’espulsione dei Gesuiti dal Regno Borbonico nel 1789, la chiesa dell’Uscibene, la “Vignicella” e la chiesa di San Leonardo (l’area dell’Ospedale Psichiatrico), furono aggiudicati ad Antonio Lo Cascio.

Nel 1852 l’intero podere passò in proprietà del rettore del Collegio Massimo dei Gesuiti e divenne demaniale con la soppressione degli ordini religiosi nel 1888. Dopo il 1888 cominciarono a sorgere i primi padiglioni dell’Ospedale Psichiatrico.

Fu grazie a Pietro Pisani che dalla metà dell’Ottocento vi fu aperto un edificio da dedicare esclusivamente ai soggetti con patologie psichiatriche e fu inaugurato all’insegna di cambiamenti decisamente innovativi per l’epoca. Prese il nome di Real Casa dei Matti, paradossalmente, perché il Pisani che chiamò così l’ospedale proibì contemporaneamente l’uso della parola “matti”, così come delle parole “folli” e “pazzi”.  Non solo: proibì le punizioni e stabilì che le camicie di forza potevano venire adoperate solo in casi di estrema urgenza, ciò nonostante, alcuni pazienti dormivano sulla sola struttura metallica del letto perché a volte, capitava, mangiavano il proprio materasso

Pisani fu il pioniere, a Palermo, dell’approccio psicologico da sostituire a quello farmacologico e si può dire che l’edificio fu il primo in Europa a essere concepito per la cura e la degenza dei malati di questo tipo.
Gli ambulatori, le degenze, le infermerie, la clinica psichiatrica, i locali dell’amministrazione e della direzione, la lavanderia, la colonia agricola verremo inaugurati tra il 1888 e il 1928.

Nel 1910 la struttura cambia ancora nome e diventa il “Nuovo Manicomio Pietro Pisani”:

Ma soltanto per due anni la Vignicella resiste nella sua funzione: nel 1912 viene lentamente svuotata perché nel frattempo un più grande complesso fu terminato tra padiglioni progettati da Francesco Paolo Palazzotto e rigogliosi giardini.

Una città nella città circondata da alte mura per impedire ai malati di scappare con laboratori per disegnare o fare lavori manuali, aiuole, viali alberati, orti e stalle.

Alcuni dei macchinari usati alla Vignicella servivano a fare lavorare i ricoverati per un processo di riabilitazione ma altri invece no: imbuti, legacci, pinze e dispositivi elettrici – anche rudimentali – sono ancora visibili. Come la stanza degli imbuti: una stanza umida che conserva decine di imbuti metallici che pendono dal soffitto. Venivano messi con forza tra le labbra di pazienti troppo vivaci o rabbiosi che venivano riempiti con litri e litri di acqua con lo scopo di calmarli.

Il manicomio è stato abbandonato fino alla chiusura completa nel 1978, anno in cui venne emanata la legge di Basaglia che impose la chiusura dei manicomi e disciplinò il trattamento sanitario obbligatorio (tso) istituendo i servizi d’igiene mentale pubblici.

Alcuni padiglioni oggi sono usati come presidio sanitario e altri sono sedi di associazioni e cooperative.

La massiccia costruzione il cui prospetto é
a tre ordini, si presenta con un piano rialzato con cinque aperture ad arco: due chiuse da cancellate fisse e due murate, quella centrale è l’ingresso chiusa da una pesante cancellata e a cui si accede da una scala a due rampe in stile vagamente spagnolo.
Accedendo all’interno si nota nella parete di sinistra un affresco che nella parte superiore rappresenta un pergolato con un pavone al centro “poggiato” su una fascia di piastrelle di maiolica che a mò di mosaico riproduce angeli musicanti circondati da un bel paesaggio, che fa da cornice ad una fontana ormai inesistente.
Al piano terra si trovano le celle nelle quali venivano rinchiusi gli ammalati più gravi, la cucina oggi trasformata in museo dove sono esposti antichi strumenti medici ed attrezzature usate per la cura ed il contenimento degli ammalati e l’ex refettorio dei Gesuiti adibito a sala congressi.
Al primo piano vi sono cinque celle chiuse dalle pesanti e tristi porte originali con lo spioncino che serviva a controllare i degenti .
La finestra del corridoio è murata a metà per impedire la visuale dall’esterno.
Al secondo ci sono due stanzoni e i servizi igienici e le due antiche celle d’isolamento.


Il complesso comprende anche la chiesa dedicata alla Madonna dello Scibene intitolata più tardi a Santa Rosalia con la particolare forma a croce , un bellissimo giardino con un colonnato che reggeva il pergolato e una grande “gebbia” (dall’arabo gabiya) una vasca che attingeva direttamente dal quanat usata per l’irrigazione dei campi.

Accanto alla chiesa vi è un edificio dove è visibile una meridiana che porta la data del 1762.

Ai piedi della scala d’ingresso si notano tre aperture protette da grate che conducono al quanat che occupa buona parte del sottosuolo di Palermo. Il quanat é un’ opera sotterranea di ingegneria idraulica che per secoli ha permesso di prelevare acqua da sorgenti sotterrane ma anche da falde acquifere poste in superficie attraverso una serie di cunicoli verticali simili a pozzi, collegati da un canale sotterraneo in lieve pendenza.
Grazie a questa tecnica inventata dai persiani, l’acqua arriva in superficie senza necessità di pompaggio dato che fluisce solo per effetto della gravità poiché la destinazione è più bassa rispetto all’origine e può essere trasportata a grande distanza senza il pericolo d’evaporazione a causa del gran caldo palermitano.


Appena dietro la chiesa vi era il giardino dei Gesuiti, oggi occupato da un vivaio, dove ritroviamo i caratteristici “passatori“, ossia vialetti delimitati da colonne grezze di pietra
.
Il vivaio Ibervillea è specializzato in piante grasse provenienti da diversi continenti, ha una serra espositiva ed una di produzione, un grande giardino roccioso e un planisfero tracciato sul terreno per fare il giro del mondo con le piante e viene gestito dalla cooperativa sociale “Solidarietà” alla cui visita il gruppo é stato guidato dalla dott.ssa Anna Barba.

Il Palazzo della Vignicella è stato sgombrato e parzialmente restaurato divenendo, dal maggio 2007,
visitabile su prenotazione come Museo del Manicomio.

L’escursione del gruppo Unipop è stata guidata dal dott. Sebastiano Catalano.

Le foto sono state realizzate da soci presenti all'escursione. 
L'articolo é di Diana Oretano